I ragazzi di via Panisperna e la ricerca che ritorna: studio Unical ne ricava una nuova tecnologia

Materiali nanostrutturati per biomedicina ed energia solare: su Nature uno studio condotto dall’ateneo calabrese insieme a Case Western Reserve University e Rochester. Tutto parte da una famosa equazione di Ugo Fano (che la elaborò con l’aiuto di Fermi)

È la metà degli anni ‘30. Il giovane ricercatore Ugo Fano si è trasferito da Torino a Roma, per lavorare con Enrico Fermi e il gruppo di fisici di via Panisperna. Da lì a qualche anno sarà costretto a riparare negli Stati Uniti, incoraggiato dallo stesso Fermi, per sfuggire – è ebreo – alle leggi razziali, ma in quel momento le sue giornate sono dedicate agli esperimenti di fisica atomica che Fermi sta conducendo. Osservandoli, nota qualcosa di insolito nel modo in cui gli atomi rispondono alla sollecitazione che ricevono. Lo fa notare a Fermi, che lo incoraggia ad approfondire. Nel giro di pochi giorni Fano scrive l’equazione che spiega quel comportamento e sviluppa la sua teoria della risonanza di forma in meccanica quantistica.

Un’equazione elaborata quasi per caso, che ha avuto numerose applicazioni in fisica e che oggi, quasi un secolo dopo, ha permesso a un team internazionale di ricercatori di sviluppare nuovi materiali nanostrutturati, dagli utilizzi promettenti a partire dalla biomedicina e dalle energie rinnovabili. I risultati di questo studio – che ha visto la partecipazione dei fisici dell’Università della Calabria, della Case Western Reserve University e dell’Università di Rochester a New York – sono stati di recente pubblicati su Nature Nanotechnology.

L’obiettivo dei ricercatori, però, non era quello di ottenere una nuova tecnologia. «Il nostro studio è partito dall’analisi di un problema di fisica di base – racconta Giuseppe Strangi, docente di Fisica dell’Università della Calabria e della Case Western – La nostra domanda scientifica era quella di capire come fare per generare in ottica una risonanza di Fano. Abbiamo utilizzato algoritmi e processi di Intelligenza Artificiale, per individuare i materiali più adatti per ottenere quel tipo di risposta. I risultati sono stati sorprendenti e ci hanno permesso di sviluppare un nuovo tipo di rivestimento ottico».

I RISULTATI DELLO STUDIO – I rivestimenti ottici sono sottili strati di materiale depositati su uno strumento ottico. Sono parte integrante di quasi tutti gli strumenti ottici. Ad esempio, gli occhiali da vista richiedono più rivestimenti ottici per ridurre l’abbagliamento e bloccare la dannosa luce ultravioletta.

L’utilizzo diffuso dei rivestimenti ottici è in parte dovuto alla loro produzione poco costosa e scalabile. Pur avendo innumerevoli applicazioni, esistono oggi però solo pochi tipi di rivestimenti ottici, in particolare i rivestimenti antiriflesso (usati per ridurre l’abbagliamento) e gli specchi dielettrici ad alta riflessione (usati per bloccare le radiazioni nocive).

I rivestimenti ottici ottenuti da Strangi e colleghi – ribattezzati FROCs (Fano Resonance Optical Coatings) – si comportano invece come nessun altro finora sviluppato. Per progettare tali nanomateriali i ricercatori hanno depositato film sottili di poche centinaia di atomi – che potessero supportare la risonanza di Fano – al fine di manipolare l’ottica ondulatoria su scala nanometrica. Le applicazioni descritte nello studio sono due.

La prima applicazione è basata su un filtro che riflette e trasmette lo stesso colore in maniera molto selettiva. Nessun rivestimento ottico ha simili proprietà e il nuovo film sottile trova applicazione in sensori molecolari a lettura ottica.  L’altra applicazione risolve un importante problema nell’industria fotovoltaica noto come “Duck curve”, uno dei principali ostacoli che devono affrontare le nuove tecnologie basate sullo sfruttamento dell’energia solare. In breve, i pannelli fotovoltaici sono in grado di produrre energia in modo efficiente durante il giorno, quando la domanda di energia è già bassa. La domanda di energia aumenta dopo il tramonto, quando i pannelli fotovoltaici smettono di produrre elettricità. L’immagazzinamento dell’elettricità generata dai pannelli fotovoltaici è costoso, ma conservare energia termica è decisamente più economico. I ricercatori hanno progettato un FROC che riflette uno stretto intervallo di lunghezze d’onda che corrisponde all’intervallo che può produrre elettricità in modo efficiente da una cella fotovoltaica. Allo stesso tempo, il FROC assorbe il resto dello spettro solare e lo trasferisce in modo efficiente al calore che può essere inviato di notte. Inoltre, protegge la cella fotovoltaica dal surriscaldamento portando a un aumento del tempo di vita delle celle fotovoltaiche di circa dieci volte.

Questa tecnologia potrebbe essere utilizzata anche per separare le bande termiche e fotovoltaiche dello spettro solare, migliorando l’efficacia dei dispositivi che utilizzano la generazione di energia ibrida termoelettrica, come opzione all’energia solare.

IL LAVORO DELLA SCIENZA – La ricerca di base su un importante fenomeno fisico, osservato negli anni ’30, apre quindi oggi la strada a nuovi sviluppi tecnologici. «Credo che questo studio rappresenti esattamente quello che deve essere il ruolo della ricerca, in particolare la ricerca accademica. Deve scavare sotto la superficie, rinnovare e alimentare conoscenza partendo dal lavoro di chi ci ha preceduto, generalmente si inizia dal cercare una risposta a importanti domande scientifiche e sempre più spesso si finisce col trovare soluzioni tecnologiche» dice il professor Strangi.

Dopo la pubblicazione dello studio su Nature, i ricercatori hanno anche scoperto qualcosa di più su com’è nata la teoria della risonanza di Fano.  «Il professor Federico Capasso dell’Università di Harvard ­– racconta Strangi – nei giorni immediatamente successivi alla pubblicazione dello studio ci ha riferito un aneddoto legato al suo incontro con Ugo Fano a Washington. Fano gli raccontò che, in effetti, il fenomeno si sarebbe dovuto chiamare “risonanza di Fano-Fermi”. Quando Fano andò nello studio di Fermi, qualche giorno dopo l’osservazione del fenomeno, per mostrargli i risultati della sua analisi, scoprì che Fermi nel frattempo aveva già sviluppato l’intera teoria seguendo una strada più semplice rispetto alla sua. Al momento della pubblicazione dello studio, Fano allora gli propose di firmare insieme la pubblicazione oggi famosa, ma Fermi rispose che non era necessario, perché l’intuizione era stata del giovane collaboratore, e che avrebbe potuto limitarsi ad aggiungere una nota di ringraziamento. Un episodio che racconta ancora una volta della grandezza dello scienziato e dell’uomo Enrico Fermi e di come ergendosi sulle spalle dei giganti si possa godere di una straordinaria vista sul futuro»

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