Fazio Cirolla, un omicidio che rimane impunito

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CASSANO ALL’IONIO L’omicidio di Fazio Cirolla rimane l’ennesimo delitto impunito. Sono state pubblicate ieri le motivazioni della sentenza di assoluzione da parte della Cassazione nei confronti degli unici due imputati: Saverio Lento e Archentino Pesce che escono di scena definitivamente.Chi li aveva accusati e fatti condannare in primo e secondo grado aveva motivi di astio personali tali da renderne la testimonianza inammissibile. La Procura Generale di Catanzaro aveva proposto ricorso contro la sentenza della Corte di Assise di Appello di Catanzaro che, dopo l’annullamento con rinvio dalla Cassazione, aveva assolto Pesce e Lento, per ben due gradi di giudizio condannati a 30 anni.La sentenza con le relative motivazioni: “Con sentenza del 06/04/2016 la Corte di Appello di Catanzaro – in sede di giudizio di rinvio disposto all’esito della sentenza della Corte di Cassazione, Sez. 1, n. 19778 del 26/02/2015, che aveva annullato con rinvio la sentenza di appello che, sul punto, aveva confermato la condanna a trenta anni di reclusione pronunciata dal Gip del Tribunale di Catanzaro, con sentenza del 24/01/2012 emessa all’esito di giudizio abbreviato – assolveva Lento Saverio e Pesce Archentino dal reato di omicidio volontario di Cirolla Fazio, contestato loro quali esecutori materiali (capo 8), dai reati di detenzione e porto illegale di due pistole (capo 9), e dal reato di ricettazione di un’autovettura Fiat Uno (capo 10); reati aggravati dall’art. 7 d.l. 151 del 1991, in quanto commessi al fine di agevolare la cosca di ‘ndrangheta Forastefano.Sotto il profilo dell’attendibilità delle dichiarazioni, poi, la sentenza ha rilevato che nessuno dei cinque testimoni oculari presenti in concessionaria aveva riferito dei giubbotti antiproiettili indossati, secondo il Coman, dai due killer, e della stessa presenza del Coman sul luogo del delitto al momento dell’irruzione dei due esecutori materiali dell’omicidio; inoltre, a rendere ancor più incerto il quadro probatorio sono state richiamate le dichiarazioni dei tre testimoni, colleghi di lavoro del Pesce, la cui attendibilità non può essere “liquidata” mediante ragionamenti congetturali privi di agganci fattuali; infine, le dichiarazioni della collaboratrice Bariova Lucia sono state ritenute di debole efficacia dimostrativa, perché, essendo de relato, o erano state smentite dalla fonte diretta (Cantore Paolo), o provenivano da fonte ritenuta non credibile (Lento Salvatore), o erano addirittura di “terza mano” (provenendo da Rizzo Caterina, che, a sua volta, aveva ricevuto l’indicazione di Pesce dal marito Forastefano Antonio). La sentenza impugnata, che, all’esito della rivalutazione del compendio probatorio, ha assolto Pesce e Lento dal reato di omicidio, ha innanzitutto rigettato la richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale avanzata dal P.M., in quanto, escluso un diritto alla prova delle parti nel giudizio abbreviato di appello, l’integrazione sollecitata concerneva non già prove nuove, ma circostanze già riferite dalle fonti di prova acquisite. Ha, successivamente, formulato la valutazione probatoria delle fonti acquisite, rilevando: la scarsa credibilità di Lione e Coman, che avevano ammesso di aver inizialmente concordato le versioni da fornire alla polizia, per poi rendere dichiarazioni accusatorie in coincidenza con la scelta del Lione di collaborare; il possibile condizionamento del Coman, legato da un solido rapporto di riconoscenza al proprio datore di lavoro Lione (che era anche l’amante della sorella), e che aveva reso le nuove dichiarazioni solo perché aveva appreso che altrettanto aveva fatto il Lione; il rapporto di astio e inimicizia che Lione nutriva nei confronti di Lento Saverio, dal quale temeva di essere eliminato; l’inquinamento delle fonti operato dal Lione, che aveva riguardato non solo Coman, ma altresì la segretaria.La Corte dichiara inammissibile il ricorso della procura generale”.

(fonte: La Provincia di Cosenza)

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