Faccione, il brigante che entusiasmava il popolo. Racconto di Martino A. Rizzo

Corigliano Rossano – Nell’agosto del 1868 il brigante di Longobucco, Francesco Godino, alias Faccione, trattò la propria resa e si consegnò ai militari di Rossano. Il tenente ravennate Enea Pasolini, che era di stanza a Rossano, assistette all’evento e lo descrisse in una lettera privata inviata ai parenti e che successivamente fu pubblicata in un libro di memorie familiari. Così oggi possiamo rivivere quell’episodio grazie al racconto di un testimone diretto presente ai fatti.

Quando il brigante arrivò a Rossano, narra Pasolini, una folla immensa corse a vederlo e mentre camminava per la strada le madri lo additavano entusiaste ai figli. Faccione, perfettamente vestito alla calabrese, carico di preziosi ornamenti, procedeva a testa alta, fiero, spavaldo, seguito – come un generale – dal suo stato maggiore formato sia da uomini che da donne e ogni tanto si girava verso la folla in estasi per distribuire soldi e confetti. Aggiunge, sempre Pasolini, che “il popolo di qui che è per natura fanatico ammiratore dei briganti”. Ammirava il bel vestiario, le catene d’oro, gli anelli, “l’harem personale”, perché “il popolo calabrese si infatua, si inebria di questo spettacolo. Il popolo da cui viene il brigante, non ha provato che oppressioni dai signori e nessun incomodo da questi. Ora gode perché vede che anche nella propria classe viene qualcuno in potenza: li considera come suoi eroi, come proprio vanto”.

Gaetano Ferrari, un soldato che nella stessa epoca prestò servizio militare nel Circondario di Rossano, ci dà conferma di questa infatuazione per i briganti affermando che la “popolazione è quasi apertamente ostile ai soldati e favorevole ai briganti”.

Con Faccione, però, non solo il popolino si mise in fila per vederlo. Anche le autorità andarono a riverirlo e mentre loro se ne restavano in piedi, il brigante, comodamente sdraiato, si fumava il suo bel sigaro. Lui con queste autorità aveva fatto “patti coi fiocchi”: “Salva la vita con salvacondotto, di cui si sarebbe fissata, la durata, per lui e per quelli che con lui si presentano per poter girare liberamente per attendere ai propri affari”.

Faccione era nato a Longobucco nel 1835 e quindi all’epoca aveva trentatré anni. “Non alto della persona ma di forme erculee: porta la barba alla borbonica, ha uno sguardo acuto: parla con facilità, e, secondo l’uso calabrese, facendo grandi gesti colle mani e col volto.” Figlio di Giuseppe, pastore, e di Angela Amato, aveva iniziato la carriera brigantesca nella banda di Palma, prima di costituire la propria comitiva.

Era vedovo e nell’entourage che l’accompagnava c’era anche la sua futura sposa, una graziosa giovane di 23 anni, a detta di Pasolini, sua cognata, incinta.

Come raccontato in apertura, ad accompagnarlo però non c’era solo la futura moglie, ma un seguito di altre tre donne “di bellezza comune, eccetto una certa Filomena Simonari che è di una bellezza veramente rara; ha la distinzione di una signora in ogni sua mossa”. E, da uomo di mondo, Faccione confidò all’ufficiale ravennate che “eccetto la sposa, quella era la sua favorita. Infatti era splendidamente vestita del costume di festa di Longobucco.” Poi con la solita magnanimità e platealità Faccione regalò alla donna “200 lire (40 piastre) per comprarsi dei monili in una piccola fiera che era qui. Tutto questo si intende in presenza del colto pubblico, dell’inclita guarnigione, e quello che è meglio, della sposa”.

In carcere si trattava bene, per il solo pranzo, arricchito da litri e litri di vino, spendeva fior di quattrini. Una cena, invece, in segno di rispetto, gli venne omaggiata da “un signore del paese”.

Poiché il tenente Pasolini voleva vederlo, il brigante da perfetto anfitrione l’invitò a pranzo, ma l’ufficiale si guardò bene dall’accettare. Comunque si fermò a discorrere con Faccione “di molte cose” e alla fine commentò che “egli parla franco ed intende perfettamente ogni tua domanda, ogni atto”, insomma, tutt’altro che stupido.

Il racconto di Enea Pasolini, sulla fine della latitanza di Faccione, non fa altro che suffragare la tesi di Vincenzo Padula su briganti e brigantaggio: “Finora avemmo briganti, ora abbiamo il brigantaggio e tra l’una e l’altra parola corre grande divario. Vi hanno briganti quando il popolo non li aiuta, quando si ruba per vivere, e morire con la pancia piena; e vi ha brigantaggio quando la causa del brigante è la causa del popolo…”.

Martino A. Rizzo

 

I racconti di Martino A. Rizzo. Ogni mercoledì su I&C

Martino Antonio Rizzo, rossanese, vive da una vita a

Firenze. Per passione si occupa di ricerca storica

sul Risorgimento in Calabria. Nel 2012 ha pubblicato

il romanzo Le tentazioni della

politica e nel 2016 il saggio Il Brigante Palma e i misteri

del sequestro de Rosis. Nel 2017 ha fondato il sito

anticabibliotecacoriglianorossano.it. Nel 2019 ha curato la pubblicazione

dei volumetti Passo dopo passo nella Cattedrale di Rossano,

Passo dopo passo nella Chiesa di San Nilo a Rossano,

Le miniature del Codice Purpureo di Rossano.

Da fotografo dilettante cerca di cogliere

con gli scatti le mille sfaccettature del paese natio

e le sue foto sono state pubblicate nel volume di poesie

su Rossano Se chiudo gli occhi.

 

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