Editoriale. Riflessioni sul suicidio… Quando la vita sembra senza vie d’uscita

Ogni anno sono circa 800mila le persone che si suicidano in tutto il mondo. Le statistiche italiane riportano un calo del numero di suicidio negli ultimi anni rispetto ai precedenti, ma la situazione necessita comunque di notevole attenzione senza sottovalutarne la portata, considerando che avvengono almeno dieci suicidi al giorno e circa 4mila suicidi all’anno.

Il numero dei maschi è maggiore rispetto alle femmine, con un rapporto di 4:1. È vero che le donne hanno più probabilità di tentare il suicidio rispetto agli uomini, ma questi ultimi riescono maggiormente nel loro intento. Alcune possibili spiegazioni di questo divario riguardano il fatto che gli uomini sono meno inclini a chiedere aiuto quando si trovano in difficoltà e sono più aggressivi, utilizzando metodi più letali quando mettono in atto il comportamento suicidario. Il tasso più alto di suicidi è compreso tra i 45 e i 54 anni di età.

Inoltre, il fenomeno del suicidio può colpire indistintamente qualsiasi estrazione sociale e il tasso di suicidi risulta più alto al Nord rispetto al Sud Italia.

Sebbene la mortalità per suicidio risulti elevata tra gli anziani, a causa della solitudine e della cronicizzazione delle malattie, è allarmante il fatto che il suicidio rappresenti la seconda causa di morte nei giovani tra i 15 e i 34 anni. L’età si sta abbassando sempre di più e le notizie di cronaca stanno facendo emergere un problema sociale che non può essere trascurato e rimanere nel silenzio: la fragilità e la solitudine delle giovani generazioni.

Se consideriamo anche l’aumento delle patologie depressive, l’autolesionismo, le ideazioni suicidarie e i tentativi di suicidio il fenomeno si allarga in modo esponenziale.

Si tratta di un fenomeno molto complesso che non può essere ricondotto ad una singola motivazione (per esempio la depressione), ma necessita di essere valutato tenendo conto di una fitta rete di fattori di vulnerabilità biologici, genetici, psicologici, sociali, culturali ed ambientali, come afferma l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità). Un recente studio di metanalisi ha riscontrato 50 fattori che possono aumentare il rischio di suicidio come l’isolamento sociale, la diagnosi di disturbo mentale, dipendenze, gravi malattie croniche, abusi subiti durante l’infanzia, eventi traumatici, storia familiare di suicidio, perdita di lavoro e finanziaria, ecc.

Intorno alla parola suicidio aleggiano miti, pregiudizi, paure e reticenze che ostacolano la possibilità di parlarne e di prenderne consapevolezza. Se ne silenzia la voce ma non il suo eco.

Risulta pertanto necessario sensibilizzare a parlarne a vari livelli (personale, interpersonale, locale e nazionale) per riuscire a trovare preventivamente alternative al dolore psicologico, quando non trova via d’uscita.

Fare qualcosa è necessario considerando il fatto che la maggior parte delle persone che mettono in atto il suicidio vorrebbe vivere.

Quando si parla di suicidio, infatti,  non si fa riferimento ad un’azione di allontanamento dalla vita quanto piuttosto alla volontà di scappare e trovare riparo da un dolore incessante e martellante che è sempre lo stesso e non dà tregua. È come sentirsi in trappola, costretti in una scatola chiusa che non contempla vie d’uscita e senza alcuna possibilità di essere aiutati. Ciò che si stacca dallo sfondo per arrivare in figura è il bisogno impellente di liberarsi di emozioni e di pensieri dolorosi diventati ormai intollerabili e difficili da gestire.

La suicidologia è la disciplina che si occupa dello studio scientifico del suicidio, delle manifestazioni correlate al fenomeno e della sua prevenzione. Il termine è stato introdotto nel 1964 da Shneidman, il suicidio come atto conscio di autoannientamento, visto come unica, possibile, estrema soluzione.

La mancanza di strategie di coping (ovvero modalità di fronteggiare le situazioni stressanti e non) può condurre verso uno stato di disperazione profonda mentre l’intera esistenza sembra sfuggire di mano.

Il malessere psicologico può scaturire da vissuti di vergogna, colpa, rabbia, solitudine, disperazione, ecc., quando i bisogni vitali vengono frustrati e negati, come ottenere autonomia, essere accettati, compresi e ricevere conforto. È vero che la condizione dell’essere umano è quella di confrontarsi con il dolore ma è vero anche che non esiste un livello di sopportabilità standard valida per ogni individuo, esiste piuttosto un livello di tolleranza assolutamente soggettivo sia del dolore fisico che di quello psicologico, e spesso il primo risulta più tollerabile del secondo.

Si tratta di una sofferenza che priva l’esistenza di senso, sfugge ad ogni tentativo di controllo e annienta la persona piano piano.

È come se l’infinito spazio di possibilità si restringesse sempre più e, prima di sentirsi completamente inghiottire in una sorta di buco nero, porre fine alla propria vita risultasse essere l’unico spazio dove poter ancora esprimere l’ultima volontà, l’ultimo grido di vita. Il tempo spezzato in un attimo è la variabile che pone tregua alla catena infinita di dolore che collega il passato con il futuro.

Il suicidio assume l’immagine di una violenza dell’anima sull’anima in una dantesca visione ed è proprio la violenza dell’impatto con cui irrompe la morte per suicidio che scandalizza, turbando la coscienza e la serenità di chi ne viene coinvolto. È difficile saper leggere e comprendere quei segnali che possano far pensare all’intenzione suicida di chi sta vicino, spesso non si hanno gli strumenti adatti. I gesti, le parole disseminate da chi premedita il suicidio, spesso trovano senso solo successivamente, buttando ancor più nello sconforto e nell’angoscia familiari, amici, medici e conoscenti, con possibili e legittimi vissuti di colpa, rimorsi, rabbia, tristezza oltre a domande che non trovano risposte.

I vari vissuti necessitano di essere attraversati per permettere al dolore di fluire senza esondare.

In generale, chiunque metta in atto un gesto suicidario sta lanciando un messaggio con contenuti diversi. Il messaggio rappresenta l’elemento costitutivo della comunicazione umana ed è alla base delle relazioni.

Se tutto nasce dal dolore è dal dolore che bisogna partire in un’ottica preventiva, attraverso il contatto con il dolore, dare ad esso la possibilità di essere accolto e di trovare espressione.

La prevenzione dei suicidi non è una questione che riguarda solo gli addetti ai lavori per la salute mentale, bensì l’intera società. Una buona rete sociale è un potente fattore protettivo.

Occorre entrare nell’ottica che si può chiedere aiuto o semplicemente avere modo di scorgere altre possibilità allargando l’orizzonte, permettere di guardare fino in fondo nel vaso di Pandora. Il dolore necessita di essere portato fuori e di trovare un’accoglienza empatica. Il rischio è altrimenti lo scorrere incessante di ombre intorno a noi senza espressione.

 Teresa Carmen Gagliardi  (Psicologa e Psicoterapeuta)

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