Corigliano Rossano. Flumen Luto, la motivazione dei dissequestri

Corigliano Rossano – Di seguito le motivazione alla base dei dissequestri di fabbricati privati e ricettivi inerenti la famosa operazione “Flumen Luto” che ha  riguardato i fatti inerenti l’alluvione del 2015.   In particolare si fa riferimento complessivamente su Rossano a  n. 21 edifici in aree P.A.I. “R3%, “R4”, “zone” ed “aree d’attenzione”, dei quali 14 realizzati senza permesso di costruire .e 7 realizzati con permesso di costruire; oltre n. 17 edifici in aree sottoposte a vincolo idrogeologico imposto dall’art. 96 comma f) del R.D. n. 523/1904 (dei quali 4 realizzati con permesso di costruire e 13 realizzati senza permesso di costruire) realizzati in difformità al R.D. 523/1904 e in violazione degli artt. 21 e 22 delle NAMS del P.A.l. Calabria, oppure nella fascia di rispetto di 10 metri dagli argini naturali e artificiali dei corsi d’acqua imposta dall’art. 96 comma f) del R.D. 523/1904. Nel territorio comunale di Corigliano sono stati individuati complessivamente n. 104 immobili in aree P.A.l. “R8% “R4” “zone” ed “aree d’attenzione”, dei quali 83 realizzati senza permesso di costruire ed 11 realizzati con permesso di costruire, a cui si aggiungono n. 10 edifici “non verificati”; oltre a n. 16 edifici in aree sottoposte a vincolo idrogeologico imposto dall’art. 96 comma f) del R.D. n. 523/1904 (dei quali 4 realizzati senza permesso di costruire e 12 realizzati con permesso di costruire) realizzati in difformità al R.D. 523/1904 e în violazione degli artt. 21 e 22 delle NAMS del PAI Calabria, oppure nella fascia di rispetto di 10 metri dagli argini naturali e artificiali dei corsi d’acqua imposta dall’art. 96 comma f) del R.D. 523/1904.

Secondo il collegio (sezione penale del tribunale di Cosenza – Salvatore Carpino Presidente – Giovanni Garofalo Giudice – Urania Granata Giudice) “non ricorrano quelle specifiche esigenze cautelari indicate dal G.i.p. nel provvedimento impugnato e genericamente individuate nel “rischio che ulteriori interventi edificatori o, comunque, opere di modificazione dello stato dei luoghi, in violazione della normativa che regola la materia, nelle aree a rischio alluvione, possano aggravare o protrarre le conseguenze del reato, ovvero agevolare la commissione di altri reati dello stesso tipo”, dovendosi sul punto osservare che, ad un più approfondito esame, l’affermazione si risolve in una mera petizione di principio.

Rileva il Consulente Tecnico nella relazione preliminare che il sovralluvionamento generalizzato dei corsi d’acqua dei territori oggetto della perizia, avvenuto durante l’alluvione del 12 agosto 2015, he determinato il deposito di consistenti spessori di detrito alluvionale con conseguente sollevamento progressivo degli alvei rispetto agli argini, peggiorando un quadro pregresso già di per sé critico, delineatosi con il susseguirsi di alluvioni verificatesi nel corso di decenni. In alcuni casi lo strato alluvionale ha quasi completamente colmato l’area compresa tra gli argini, riducendo sensibilmente l’altezza relativa degli argini stessi rispetto all’alveo che in alcuni tratti risulta quasi completamente assente, interrando quasi completamente alcune importanti opere idrauliche (briglie), come nel caso emblematico di C.da Pennino nel Comune di Rossano. Tali condizioni hanno sensibilmente aumentato il rischio idraulico”.

“Tenuto conto dei rilievi formulati dal consulente, va innanzitutto osservato, sotto il profilo del periculum in mora, che la finalità cautelare deve essere valutata rispetto alle conseguenze connesse all’offesa del bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice.

Il requisito della pertinenza deve essere infatti apprezzato in relazione alla strumentalità del bene, in quanto la peculiarità della funzione del sequestro preventivo prescinde dalla liceità o meno delle cose oggettivamente considerate, assumendo rilievo, invece, la destinazione sia pure indiretta delle stesse a fungere da mezzo di commissione di altri reati, avuto sempre riguardo alla condotta tipica contemplata dalla norma incriminatrice e dunque alla reale compromissione degli interessi protetti da detta norma, dovendosi stabilire in quale misura il godimento e la disponibilità attuale della cosa da parte dell’indagato o di terzi, possa implicare una effettiva ulteriore lesione del bene giuridico protetto ovvero costituisca un elemento neutro sul piano dell’offensività del reato.

Non si può non rilevare, nel caso di specie, come il vincolo di pertinenzialità dei beni immobili oggetto di sequestro con il titolo di reato risulti affievolito (rectius neutralizzato) dal fatto che la libera disponibilità di detti beni (molti dei quali sottoposti a sequestro con facoltà d’uso, comunque, concessi in custodia ai medesimi proprietari) appare un fatto neutro rispetto al pericolo di danno che, in astratto, avuto riguardo alle condotte contestate, sussiste a prescindere dalla loro sottoposizione a vincolo reale.

Non è certo la libera disponibilità dei suddetti immobili (realizzati in buon parte in conformità agli strumenti urbanistici, in virtù di titoli abilitativi ottenuti ab origine o per effetto di successiva sanatoria) a provocare l’aggravarsi o il protrarsi degli illeciti già realizzati oppure ad agevolare la commissione di altri reati.

Rispetto al titolo di reato contestato (art. 449 c.p.), e soprattutto rispetto alle condotte descritte, il vincolo reale sugli immobili (in buona parte dei casi sequestrati con facoltà d’uso o con assegnazione in custodia ai medesimi proprietari) si rivela inutile, poiché inidoneo a realizzare l’esigenza cautelare della misura ed in particolare quell’effetto impeditivo tipico del sequestro preventivo, dovendosi sul punto osservare che la trasformazione dello stato dei luoghi (individuata quale concausa del fenomeno alluvionale), essendosi già realizzata in maniera irreversibile e stratificata, resta indifferente alla indisponibilità del bene.

L’art. 449 c.p., in relazione alle distinte ipotesi colpose di calamità, usa l’accezione “disastro” per la cui integrazione occorre che colposamente sia cagionato un evento di danno o di pericolo che colpisca collettivamente persone e cose con effetti straordinariamente gravi e complessi. La norma è dunque posta a presidio della incolumità pubblica ed è rispetto a questo bene interesse tutelato che va valutata l’efficacia della misura cautelare ed apprezzato il vincolo di pertinenzialità, ciò al fine di evitare un inutile sacrificio degli interessi coinvolti.

Il sequestro preventivo è infatti una misura di coercizione reale predisposta dal legislatore per realizzare esigenze di prevenzione, peraltro connessa e strumentale allo svolgimento del procedimento penale ed all’accertamento del reato per cui si procede, nel senso che è suo scopo quello di evitare che il trascorrere del tempo possa pregiudicare irrimediabilmente l’effettività della giurisdizione espressa con la sentenza irrevocabile di condanna. In particolare, il provvedimento inibitorio è inteso a stabilire un vincolo di indisponibilità in riferimento ad una cosa mobile od immobile il cui uso è ricompreso necessariamente nell’agire vietato dalla legge penale.

Ne discende che la misura cautelare in questione va disposta nelle situazioni in cui il non assoggettamento a vincolo della cosa pertinente al reato può condurre, in pendenza dell’accertamento del reato, non solo al protrarsi del comportamento illecito ovvero alla reiterazione della condotta criminosa ma anche alla realizzazione di ulteriori pregiudizi quali nuovi effetti offensivi del bene protetto; tali effetti debbono essere connessi con l’imputazione contestata e l’intervento preventivo collegato con le finalità di repressione del reato.

Più specificatamente va inoltre detto che il pericolo, in quanto probabilità di un danno futuro, deve avere comunque caratteristiche di concretezza e attualità e richiede, quindi, un accertamento in concreto, sulla base di elementi di fatto, in ordine all’effettiva e non generica possibilità che la cosa di cui si intende vincolare la disponibilità assuma, in relazione a tutte le circostanze del fatto (la natura della cosa, la sua connessione con il reato, la destinazione alla commissione dell’illecito, le circostanze del suo impiego), una configurazione strumentale rispetto all’aggravamento o alla protrazione del reato ipotizzato ovvero alla agevolazione alla commissione di altri reati (cfr. Cass. Pen. SS.UU. n. 12878/2003).

Ne deriva che l’applicazione della misura coercitiva di prevenzione, in funzione cautelare, richiede la connessione con il procedimento di repressione del reato, il cui accertamento irrevocabile deve essere pure idoneo ad impedire definitivamente gli effetti pregiudizievoli anzidetti.

Nel caso in esame, la fattispecie di reato ipotizzata non è posta a tutela della ordinata gestione del territorio (come avviene nei reati edilizi ed urbanistici). Di conseguenza, l’adozione della misura coercitiva in questione non è tesa ad evitare quell’aggravamento del carico urbanistico sulle infrastrutture preesistenti che potrebbe essere provocato dal libero uso dell’immobile abusivo. Nel caso di specie, infatti, la norma incriminatrice che si assume violata (art. 449 c.p.) è posta a presidio della pubblica incolumità e non subisce alcun pregiudizio ulteriore dalla libera disponibilità degli immobili sequestrati.

AI riguardo va doverosamente osservato come lo stesso consulente abbia segnalato, tra le criticità che hanno poi condotto all’evento di danno, le opere di bonifica

inadeguate, la mancata manutenzione preventiva dei corsi d’acqua, la mancata vigilanza e azione di polizia idraulica; suggerendo, al fine di salvaguardare il territorio e preservare la pubblica incolumità, la riperimetrazione delle aree a rischio, da realizzarsi attraverso la modifica degli strumenti urbanistici (P.A.I. incluso) e l’adozione di misure amministrative di manutenzione straordinaria che, evidentemente, non andranno ad incidere sugli immobili già realizzati (o sanati) in conformità agli strumenti urbanistici vigenti.

Lo stesso consulente non prospetta, per ovvie ragioni, l’abbattimento degli immobili attuali (tanto più che il sequestro non è neppure finalizzato alla confisca) ma una regolamentazione più cauta e prudente degli interventi edilizi futuri e, soprattutto, una più incisiva attività di manutenzione ordinaria e straordinaria dei canali di scolo e delle acque fluviali che interessano la zona in generale.

Occorre peraltro evidenziare che anche una eventuale finalità di tutela della pubblica incolumità circoscritta agli occupanti degli immobili (tra l’altro neppure contemplata nel provvedimento cautelare) resterebbe invero preclusa dalle stesse modalità di esecuzione del sequestro che, in buona parte dei casi, per come sopra già evidenziato, prevedono la facoltà d’uso o l’assegnazione in custodia ai medesimi proprietari.

Deve inoltre rilevarsi che la misura cautelare del sequestro preventivo è adottabile nelle situazioni in cui il non assoggettamento a vincolo della cosa pertinente al reato può condurre, in pendenza dell’accertamento del fatto, al protrarsi del comportamento illecito, alla reiterazione della condotta criminosa o alla realizzazione di ulteriori pregiudizi, essendo rivolta ad interrompere l’abitualità o la permanenza dell’illecito penale o ad impedire le ulteriori conseguenze offensive: sarebbe comunque necessario, ai fini della legittima adozione del sequestro preventivo, che la creazione della situazione di indisponibilità avvenga a fronte di fattispecie criminose in atto (quando cioè la condotta delittuosa oggetto di indagine si protrae in pendenza del procedimento ovvero quando gli effetti del reato continuano a manifestarsi nell’arco dell’iter procedimentale), poiché la misura non deve esorbitare dai confini dell’imputazione, non potendo l’autorità giudiziaria sostituirsi funzionalmente all’autorità amministrativa in attività di prevenzione non finalizzate contestualmente alla repressione del reato.

Nel caso di specie, non v’è dubbio che l’attività di prevenzione, da porre efficacemente

in essere attraverso condotte contrarie a quelle omissive descritte nei capi di imputazione, debba risolversi in interventi da adottarsi in via esclusivamente amministrativa.

Il divieto di ammissibilità della misura in funzione ante delictum (o addirittura extra delictum) va invero dedotto anche con riferimento alla commissione di “altri reati”, in quanto tale locuzione deve essere interpretata con grande cautela, in maniera tale da non implicare un giudizio prognostico di pericolosità legato alla probabilità astratta che alcuno commetta reati (che contrasterebbe con il principio di colpevolezza) e da circoscrivere l’ambito di applicazione dell’istituto nei limiti segnati dalla attitudine intrinseca della cosa ad essere, strumentalmente, ma oggettivamente, collegata alla perpetrazione di altri fatti criminosi, e dalla pertinenza all’illecito per cui si procede che, nel caso di specie, si ribadisce, è un delitto colposo di danno (art. 449 c.p.)”.

 

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