Alcune considerazioni geologiche e tecniche sul crollo del viadotto Ortiano 2 della ss.177 (Sila-Mare)

LONGOBUCCO. La scienza non è democratica, non è politica. Oggi, seppure in base ad uno studio preliminare, analizzeremo questioni di tipo scientifico coadiuvati dal geologo Eraldo Rizzuti, professionista con provata esperienza nel campo della “geologia tecnica”.

L’oggetto dello studio è l’ormai famoso crollo del viadotto Ortiano 2 della nuova ss.177 meglio conosciuta come Sila-Mare. L’esigua piena del Trionto – di cui attendiamo i dati dell’Arpacal per conoscere quanta pioggia è stata registrata nelle stazioni di Lungobucco e Cropalati nell’evento metereologico che ha colpito la zona nell’intervallo di tempo precedente al crollo – porta via 30 anni di lavori. Lo scorso 3 maggio, in una comune giornata di pioggia torrentizia vi è stato il cedimento strutturale dell’arteria che collega il comune di Longobucco alla Costa Jonica, tra il bivio di Ortiano e quello di Destro/Manco. Il viadotto in questione era stato chiuso mezz’ora prima a causa di una priva avvisaglia di caduta, e, nonostante i plausi alla ditta Anas che lo ha in gestione dal 2019, sembra che gli operatori si trovassero lì per una frana avvenuta sempre lungo la ss.177, precisamente in corrispondenza del km 37,100 della Silana di Rossano.

Il video del suddetto cedimento è diventato ‘’virale’’ ed è stato associato al crollo del Ponte Morandi a Genova, il quale è stato ricostruito in due anni dal suo crollo, in deroga a tutto, persino al Covid-19 (lo stesso ci auguriamo per Longobucco, in cantiere da 30 anni e collaudato da soli 9).

Il Ministro delle Infrastrutture e dei trasporti del governo Meloni, Matteo Salvini, risponde così all’interrogazione parlamentare del Movimento 5 Stelle riguardando il crollo del ponte longobucchese: «Ringrazio l’Anas per aver chiuso il ponte di Longobucco in tempo e mi auguro che si indaghi sulle responsabilità del crollo di un viadotto inaugurato solo da dieci anni. Per la messa in sicurezza delle opere pubbliche sono pronti 48 miliardi di euro».

La premessa era parlare di scienza che purtroppo o per fortuna si intreccia alle questioni sociali amministrate da politici. È quindi altrettanto doveroso riportare la risposta a Salvini dell’Onorevole Vittoria Baldino, tra le firmatarie dell’interrogazione all’interno del question time del 10 maggio, se non altro perché in essa troviamo un’insindacabile contestualizzazione della realtà, la tangibilità della disgrazia di non essere nati dalla parte giusta dell’Italia: «Le immagini del ponte crollato sulla Sila-Mare hanno fatto il giro del mondo. Nelle stesse ore il governo si apprestava ad approvare una campagna pubblicitaria da 7 milioni di euro – cioè propaganda – sul ponte sullo Stretto. Per completare la Sila-Mare, lo ricordiamo, di milioni ne servono 22: il governo ne spende un terzo per una campagna social. Sul ponte sullo Stretto la campagna al ministro Salvini la facciamo noi: diciamo gratis ai cittadini quali sono i veri costi dell’opera, che quando fu bloccata costava 8 miliardi e ora invece ce ne vogliono 15. Per completare la 106 Jonica e consentire ai calabresi di raggiungere veramente Reggio Calabria e percorrere il ponte immaginario ce ne vorrebbero 13 miliardi: informiamo i cittadini anche di questo. In Calabria un’ambulanza impiega in media 45 minuti per raggiungere l’entroterra: questo il ministro e la maggioranza non lo sanno, perché in questa regione vengono solo per fare passerelle promettendo mari e monti, anzi mari e ponti, anche se immaginari. Poi però quelli veri crollano lasciando paesi isolati. Le vere cifre sulle opere pubbliche in Calabria il governo le ha inserite nel Def: esclusa la Statale 106, lo stanziamento è di 36 milioni».

Tornando però alla scienza che è l’argomento fondante di questo articolo, dobbiamo ripercorrere necessariamente e per sommi capi, 30 anni di storia che lo stesso geologo Rizzuti ha riportato. I primi abbozzi della strada ss.177 risalgono agli anni 50 con la bonifica del Trionto e la costruzione di una diga sul torrente Laurenzano, costata 50 miliardi di lire e poi abbandonata. La Comunità Montana Sila Greca lanciò il progetto negli anni 90, finora costato circa 100 milioni di euro, contro una previsione iniziale di qualche decina di miliardi.

«La ss.177 è stata una strada ingegneristicamente difficile da costruire perché da realizzare in una zona soggetta a frane, smottamenti del terreno, inondazioni, sottoposta a tutela ambientale e a vincoli idrogeologici diffusi; in particolare da costruire su sedimenti alluvionali ciottolosi del letto fluviale facilmente mobilizzati dall’acqua e dal trasporto solido».

Il geologo Rizzuti sottolinea di fatto che la strada sia stata quasi interamente realizzata su viadotti e come già precisato, costruita nell’alveo del fiume Trionto, il cui letto è “soggetto a continue modificazioni dal notevole trasporto solido operato dalle acque che vi defluiscono e che mobilizzano i termini alluvionali superficiali: ghiaie, sabbie e grossi ciottoli verso valle”. A questo punto sorge spontanea la domanda: E’ stato modificato il profilo di equilibrio del fiume con risagomature, parziali trasformazioni e/o prelievo di sedimenti in alveo?

Il Trionto è infatti una tipica fiumara calabra con numerosissime aste torrentizie (canali di deflusso) laterali che ne aumentano notevolmente la portata nella zona pedemontana e valliva con la formazione di pericolosi conoidi e versanti instabili.

Il 23 aprile del 1973 ad Ortiano una frana colpì la piccola frazione sulla collina, a destra del fiume Trionto, ove poggiavano le case che la terra in quel momento inghiottiva. Per fortuna non vi furono vittime ma fu dato ordine di abbandonare il paese.

Nel 2007 un’altra frana investì la vecchia statale 177 dando la spinta per il completamento del primo lotto della nuova Sila-Mare.

Il 14 luglio 2018 un’altra ancora, questa volta in prossimità del torrente Manna, causata probabilmente dalle perdite di un canale di scolo. Il movimento franoso interessò il garage di un’abitazione che fu danneggiato e a scopo cautelativo furono evacuate 8 famiglie, circa 20 persone.

Arriviamo adesso al tanto atteso 30 giugno 2014 che vede inaugurato un tratto di 11 km dei circa 25 in progetto. Dopo pochi minuti dal taglio del nastro la strada viene chiusa al traffico “perché mancavano alcuni adempimenti tecnici”.

Giungiamo al 2022. La strada completata quasi all’80% presenta però gli ultimi 5,2 km in cantiere, i più difficili e montani. «Essi dovevano essere consegnati nel 2018, superando ostacoli burocratici, giudiziari, progettuali, autorizzativi e intimidazioni, erano pronti a partire».

Da qui diverse dichiarazioni della nuova realtà che si prospettava da parte dei consiglieri regionali e dei politici che disattesero promesse. Inoltre dalla visione delle immagini Google Maps e rilevamenti Gis si evince che l’alveo dal 2000 al 2023 non ha subito significative variazioni eccetto per i lavori in alveo del 2008 per la realizzazione dei piloni.

Eccoci al 3 maggio 2023, con il crollo del viadotto Ortiano 2. «Dalle foto visionate e dai filmati che circolano in rete del viadotto Ortiano 2 corrispondente al IV lotto della nuova strada Sila-Mare crollato il 3 maggio scorso, si evince che probabilmente il pilone centrale costruito nel letto del fiume, e quelli laterali, non erano protetti con opere di difesa trasversali a monte e a valle, i quali avrebbero evitato eventuali erosione dell’alveo e il conseguente scalzamento al piede dei piloni». A quest’altro punto, sorgono spontanee le domande: Tutti i piloni dei viadotti sono stati realizzati su fondazioni superficiali o su fondazioni ancorate in profondità? Sono state realizzate opere di difesa trasversale a monte e a valle del viadotto per proteggere le opere in alveo?

Dai dati analizzati e dalle foto visionate, il geologo Rizzuti sottolinea che: «Molto probabilmente – questione da accertare con analisi e prove – il pilone non è stato ancorato in profondità o realizzato su fondazioni su ‘’pali’’, ma su fondazioni superficiali (plinti). Da foto e filmati acquisiti via internet si evince che i sedimenti in alveo sono stati erosi di ‘’qualche metro’’ (dato anch’esso da confermare) e l’acqua che scorreva in alveo ha provocato uno scalzamento al piede del plinto e la sua conseguente perdita di resistenza».

Dimostrazione ne è che: «Se il pilone fosse stato ancorato in profondità con dei pali di grosso diametro o micropali (scelti in base alla stratigrafia del terreno), non si sarebbe spostato, perché non si evidenziano dalle foto segni di un’erosione talmente profonda dell’alveo o dissesti tali da interferire con la base dei pali».  Comunque un’indagine diretta, potrà verificare “se” c’è stato un cedimento differenziale e/o distorsioni dell’opera in alveo, tale da inclinare e far perdere la verticalità al pilone.

Foto del crollo da altra angolazione. E’ evidente l’inclinazione del pilone verso destra

«Le foto in circolazione – continua – mostrano un vistoso gradino morfologico nelle alluvioni in alveo, segno tangibile di un abbassamento dell’alveo di qualche metro».

In evidenza, l’abbassamento dell’alveo che ha interessato le strutture fondali del plinto

«Sembra quindi che ci sia stato uno spostamento del pilone centrale in seguito al normale evento meteorologico che ha interessato la zona nei primi giorni di maggio, che ha provocato l’inclinazione del pilone verso valle e il crollo dell’impalcato destro con la conseguente perdita d’appoggio del pilone. C’è da sottolineare che l’impalcato sinistro non è crollato, segno evidente che è traslato, o inclinato, il pilone verso sinistra provocando il crollo solo della parte destra. Risulta alquanto incomprensibile che un pilone costruito nel centro del fiume abbia subito uno spostamento così vistoso in seguito ad una normale piena (dati da aggiungere), tale da far perdere l’appoggio all’impalcato. Non sembrano evidenti nel terreno fratture o dissesti da giustificare questo spostamento».

C’è da sottolineare inoltre che, in genere, piloni/plinti in alveo si costruiscono su strutture fondali a forma a ‘’V’’ per evitare l’impatto con la corrente. Se ciò fosse avvenuto, l’onda nel filmato non sarebbe sbattuta contro la parete spostandola.

È chiaro che un ponte non crolla all’improvviso, manda sempre dei segnali precursori anche qualche anno prima, non bisogna arrivare al 90° per intervenire o farlo dopo che l’evento di rottura si verifichi. Il progetto originario della strada è stato redatto come già detto negli anni novanta, realizzato a lotti. «Il viadotto crollato fa parte – sottolineiamo nuovamente – del IV lotto. Da allora nuove norme tecniche regionali e nazionali sono state approvate, i vari lotti sono stati adeguati alle nuove norme geomorfologiche, geotecniche sismiche, idrauliche e ambientali?»

Speriamo che la lectio magistralis di questo ponte sposti l’interesse da opere secondarie al controllo costante dello stato di salute di tutti e 10 ponti attenzionati in Calabria, non sottovalutando mai l’opera della natura né tantomeno quella degli umani. Confidiamo che la legge faccia il suo corso e che gli interrogativi siano sciolti dalla Procura della Repubblica di Castrovillari che accerterà realmente i fatti e le cause del crollo.

Virginia Diaco

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