Trivelle o non trivelle: è dilemma

di MARTINA FORCINITI

trivelle 4Trivelle sì, trivelle no, trivelle boom: la terra della discordia esplosiva. L’Italia, su referendum, permessi e piattaforme, è come la mela spaccata a metà di Guglielmo Tell. Da una parte, c’è il signor Messer Renzi e la sua schiera di fedeli servitori che legittimano apertamente l’astensionismo e si augurano un bel fallimento del quesito referendario che il 17 aprile prossimo chiamerà i cittadini ad esprimersi sulla durata delle concessioni petrolifere. Insomma, non sia mai che, per una volta, gli italiani possano esercitare il loro sacrosanto diritto di voto. Dall’altra, ci sono gli eroi della democrazia: resistono, per fortuna, e provano a fare lo sgambetto all’Uomo nero e a quell’anima renziana che tende inesorabilmente verso l’irresponsabilità politica. Dopotutto, quando ci sono di mezzo la conservazione di certe egemonie e l’alimentazione di squallide speculazioni, l’Italia è spesso la prima della fila. E figuriamoci se importa a qualcuno, poi, che il nostro Paese di oro nero ne abbia appena l’1,1% del fabbisogno nazionale. Un “dettaglio” trascurabile di fronte all’offerta di sostegno alle migliori amiche multinazionali.
Peccato che, dei buchi in mare, al popolo italiano di poeti, santi ma anche di distratti, oggi, importi ben poco. Non gliene si può fare una colpa: in fondo, ci sono i servizi a singhiozzo, la sanità corrotta e la disoccupazione a cui pensare. Così, a mo’ di esempio.
Se poi la nostra classe politica, con la chiamata alle urne alle porte, è in tutt’altre faccende affaccendata e poco del suo tempo può dedicare alla sensibilizzazione, non c’è da stupirsi che gli elettori non sappiano bene cosa scegliere. Il dibattito resta floscio, a meno che non capiti tra capo e collo uno scandalo come quello di Tempa Rossa (giacimento petrolifero lucano oggetto di un’inchiesta della Procura che denuncia una presunta gestione illecita dei rifiuti e traffico di influenze illecite, ndr).
La materia è sensibilmente diversa, poiché l’inchiesta riguarda delle normali estrazioni, mentre il quesito referendario si riferisce alle piattaforme off-shore. Ma le indagini in corso e le conseguenti dimissioni del Ministro dello sviluppo economico Federica Guidi (che per favorire gli interessi imprenditoriali del compagno Gianluca Gemelli ha inserito un emendamento nella legge di Stabilità che rende “strategiche per l’interesse nazionale” tutte le opere connesse alle attività estrattive di gas e petrolio, ndr) hanno incoraggiato un po’ di teste a fare a capocciate, specialmente all’interno dello stesso Pd che tanto accoratamente tifa per l’insuccesso della consultazione. Insomma, la politicuccia cialtrona sbaglia tutto. Ancora una volta. Ma proprio per questo diventa necessario votare sì al referendum del 17 aprile: il mare italiano è uno dei pochi pezzetti rimastici del nostro retaggio millenario. Va protetto.  E, poi, i nostri governanti, un bel ceffone di insorgimento popolare se lo meritano per davvero. Soprattutto a queste latitudini.

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