Stop: frana l’ipotesi associativa per i Morfò, assoluzioni per il tentato omicidio di Tom Tom

Corigliano-Rossano – Processo Stop: Carmine Morello e Giuseppe Ferrante assolti entrambi dall’accusa di tentato omicidio ai danni di Antonio Manzi alias “Tom Tom” con la formula “per non avere commesso il fatto”.  Decade anche l’ipotesi dell’esistenza di una cosca denominata Acri-Morfò sul territorio rossanese, in quanto Salvatore Morfò e i suoi congiunti Isidoro Morfò e Massimo Graziano sono stati assolti “per non avere commesso il fatto” dall’imputazione di cui al capo 1, ossia dall’accusa di essere tra i promotori dell’associazione di stampo mafioso.

Questi i tratti salienti delle sentenze pronunciate nella giornata di oggi dalla Seconda Sezione penale della Corte di Appello di Catanzaro che, giudicando in sede di rinvii disposti dalla Suprema Corte di Cassazione, all’esito dei nuovi giudizi di secondo grado ha emesso due distinti dispositivi nell’ambito dei procedimenti che in primo grado avevano seguito il rito ordinario e il rito abbreviato.

Carmine Morello e Giuseppe Ferrante alias “Antonello il Siciliano” sono stati assolti, con la formula “per non avere commesso il fatto” dall’accusa di tentato omicidio ai danni di Antonio Manzi alias “Tom Tom” del quale erano entrambi imputati “in esecuzione di una complessiva strategia criminale stragista volta ad assicurare l’egemonia, in tutto il territorio di Rossano, della consorteria ‘ndranghetistica denominata Acri–Morfò”. Ed è proprio l’esistenza di tale ipotizzata cosca che frana dinanzi ai giudici della Corte di Appello di Catanzaro, con l’assoluzione “per non avere commesso il fatto” disposta nei confronti di Salvatore Morfò, Isidoro Morfò e Massimo Graziano dall’accusa di essere tra i promotori dell’associazione.  Per il capo 1 i giudici catanzaresi, disponendo l’assoluzione per altri capi di imputazione, hanno rideterminato le condanne per gli imputati Nicola Acri alias “Occhi di ghiaccio”, attualmente collaboratore di giustizia, Gennarino Acri e Carmine Morello, rispettivamente a 10 anni, 8 anni e 4 mesi, 6 anni e 8 mesi.

Per Salvatore Morfò e la figlia Lucia, esclusa l’aggravante del metodo mafioso (art. 7 L. 203/91), la Corte ha disposto di non doversi procedere relativamente alle accuse di intestazione fittizia di beni per intervenuta prescrizione. I giudici hanno inoltre riqualificato i capi di imputazione relativi a due accuse di estorsione in “violenza privata”, così rideterminando le condanne: 3 anni e 6 mesi per Salvatore Morfò; 2 anni e 9 mesi per Isidoro Morfò; 1 anno e 10 mesi per Massimo Graziano, per il quale è stata anche disposta la sospensione della pena. Revocate, infine, le confische dei beni già oggetto di dissequestro nei confronti di Salvatore Morfò e dei suoi congiunti.

La cosiddetta operazione “Stop”, istruita dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro, prese le mosse dal maxiprocesso “Ombra” e venne portata a termine nel giugno 2013. Tra le principali ipotesi accusatorie, l’esistenza di una associazione che, secondo gli inquirenti, si sarebbe ingerita nell’imprenditoria di tutta l’area della provincia di Cosenza e anche altrove, in particolare: nel settore della distribuzione di caffè torrefatto e prodotti derivati, nel settore degli appalti di servizi di vigilanza, nella distribuzione di prodotti da forno e di altri generi alimentari, nel noleggio di videogiochi di genere illecito e non, con la costituzione di una serie di imprese che avrebbero, ‘ndranghetisticamente, assunto posizioni di monopolio, costituite e continuamente finanziate col provento dei crimini organizzati ed eseguiti dall’associazione.

Con la pronuncia di oggi si conclude il secondo grado di giudizio dopo il rinvio per nuovo esame disposto dagli Ermellini, all’esito delle discussioni finali della Procura Generale e del collegio difensivo composto dagli avvocati Giovanni Zagarese, Ettore Zagarese, Francesco Nicoletti, Aldo Zagarese, Giovanni Giannicco.

Il processo dinanzi alla Corte di Appello di Catanzaro nei mesi scorsi aveva fatto registrare anche le deposizioni del neo collaboratore di giustizia Nicola Acri il quale, collegato in videoconferenza dalla località protetta, aveva ripercorso gli episodi oggetto del processo e confermato le ipotesi accusatorie in merito al tentato omicidio di Manzi individuando in Ferrante colui che aveva esploso i colpi di arma da fuoco. Ipotesi che, tuttavia, il collegio giudicante non ha accolto. Le motivazioni delle sentenze saranno depositate nei prossimi 90 giorni.

 

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