Rifiuti. Cat Calabria: ancora un’ennesima emergenza! Ma fino a quando?

Nella fase emergenziale in corso, creata da una classe politica inefficiente, ci ritroviamo a dover vivere l’ennesimo dramma legato alla gestione fraudolenta dei rifiuti. Ricorrere a discariche e a impianti di smaltimento, come deliberato dall’ultima ordinanza regionale (n. 45 del 20 maggio 2020), sembra un passaggio scontato per uscire dal vicolo cieco ma, ancora una volta, non si vede la volontà effettiva di programmare il futuro di un servizio essenziale. Di discarica in discarica sono oramai decenni che non si riesce a concepire un sistema di gestione della raccolta degno di questo nome.

Le soluzioni attuali prevedono l’istituzione di nuove discariche, la riapertura di quelle vecchie e i sovralzi per un totale di più di un milione di metri cubi di nuovi rifiuti da abbancare. Si tratta di una quantità mostruosa: il fatto che sia stata prevista, lascia intendere che la regione Calabria sarà disposta ad accettare anche la spazzatura proveniente da altre regioni.

A Castrolibero, Cassano, Lamezia, Castrovillari e Reggio non si parla d’altro. Quando si potrebbe parlare, invece, della deficienza dell’impiantistica, dell’abolizione del piano regionale dei rifiuti, dello smantellamento degli ATO o, magari, dell’opportunità di radicalizzare la raccolta differenziata.

L’obiettivo “discarica zero” è dichiarato solo sulla carta, ma in sostanza rimane uno slogan puramente propagandistico. Su tutto il fronte istituzionale manca una visione strategica, un piano pluriennale capace di farci uscire definitivamente da un’emergenza che periodicamente si ripresenta.

Proprio le sirene emergenziali, è inutile nasconderlo, servono al pubblico per far deglutire scelte impopolari e al privato per accaparrarsi l’ambìto servizio, secondo i soliti criteri che prevedono la massimizzazione del profitto. L’altra parola chiave, passata attraverso le bocche di amministratori e gestori, è stata infatti termovalorizzatore. Un’altra parola ambigua che nasconde un’altra soluzione non congrua a un sistema di gestione dei rifiuti moderno e funzionale che sia nel contempo rispettoso dell’ambiente e della salute dei cittadini.

Eppure, il cosiddetto modello Saracena, l’esperienza di Riace, la sperimentazione di San Benedetto Ullano attestano la possibilità di gestire i rifiuti solidi urbani in maniera diversa, con percentuali di raccolta differenziata che, in alcuni casi, arrivano a oltre l’80%. Se consideriamo che circa l’80% dei comuni Calabresi non ha più di 5 mila abitanti (poco più di quelli di Saracena, tanto per dire), capiamo bene l’importanza di questi modelli e quanto essi siano esportabili. C’è poi Capannori, una città di oltre 45 mila abitanti, la cui vicenda spiega plasticamente ciò che si può fare anche nei grossi agglomerati urbani. E, d’altro canto, molti capoluoghi calabresi hanno sperimentato crescite notevoli della percentuale di raccolta differenziata dopo soli due anni di attività. Si può fare, se solo lo si vuole davvero!

La commistione tra pubblico e privato ha fatto in modo che tutto il sistema si aggrovigliasse (per poi incepparsi) intorno a discariche e inceneritori. La politica ha favorito il privato perché gli ha tolto la responsabilità della gestione. Il privato, dal canto suo, ha favorito la politica attraverso la selezione del personale (senza concorso, ovviamente): si capisce bene come ciò costituisca un utile serbatoio di voti facilmente direzionabili attraverso la leva del ricatto occupazionale.

Sul piano economico la questione è ancora più semplice: un termovalorizzatore gestito da un privato deve funzionare sempre al massimo della sua capacità, dirottando parte della raccolta differenziata verso l’incenerimento e, qualora la spazzatura locale non basti, induce persino a importarla da altri luoghi, dall’estero persino. Un termovalorizzatore gestito dal pubblico dovrebbe, razionalmente, tendere progressivamente a esaurire la sua funzione e, dunque, a spegnersi, a mano a mano che la percentuale della raccolta differenziata cresca. In Calabria, questo sistema è addirittura esasperato da privati che spingono e, in alcuni casi, dettano la scrittura stessa del Piano dei Rifiuti: è per questo che esso tende a concentrarsi sui mega impianti localizzati in territori capaci di massimizzarne esageratamente i profitti? Una gestione razionale, al contrario, che guardi al bene comune e alla tutela ambientale, prevedrebbe piccoli impianti diffusi sul territorio e progettati per ambiti realmente ottimali; ossia ambiti che non seguano le linee astratte dei confini provinciali, bensì la conformazione geografica dei territori e la vicinanza reale tra comuni. Questo favorirebbe una raccolta efficace che ridurrebbe di migliaia di chilometri il trasporto dei rifiuti. Anche il trattamento della percentuale organica, quella più impattante sull’intera RSU, è meglio gestibile localmente: perché non attraverso compostiere familiari, condominiali o di quartiere?

Nessuna di queste proposte è stata minimamente accennata dal documento approntato dalla Governatrice, né è stata mai presa in considerazione dagli amministratori riuniti negli ATO, evidentemente troppo presi dalla ricerca di una soluzione più “semplice” dell’emergenza; una soluzione, questa, che prevede solo discariche e inceneritori.

Non possiamo sopportare un ulteriore slittamento nell’allestimento di un piano rifiuti dignitoso che faccia uscire definitivamente la Calabria da questa emergenza autoindotta e senza fine, frutto dell’assenza di una visione unitaria che dovrebbe accomunare le diverse anime istituzionali (Regione, ATO, Comuni).

Non sopportiamo più il patto criminale tra pubblico e privato.

Non sopportiamo più una classe politica che non ci rappresenta in alcun modo.

Coordinamento delle Assemblee Territoriali – Calabria

(comunicato stampa)

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