Retribuzioni. Dal primo luglio compensi senza contanti

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I datori di lavoro o committenti tra un mese non potranno corrispondere la retribuzione per mezzo di denaro contante direttamente al lavoratore, qualunque sia la tipologia del rapporto di lavoro instaurato (compresi co co co, coop e soci lavoratori, a termine, part-time, ecc). Sono esclusi dalle nuove regole solo i contratti di lavoro domestico, quelli instaurati con la PA, i tirocini, le borse di studio e i rapporti autonomi occasionali.

A far data dal 1° luglio 2018, infatti, i datori di lavoro o committenti corrisponderanno ai lavoratori la retribuzione e ogni anticipo di essa, solo attraverso una banca o un ufficio postale con uno dei seguenti mezzi: a) bonifico sul conto identificato dal codice IBAN indicato dal lavoratore; b) strumenti di pagamento elettronico; c) pagamento in contanti presso uno sportello bancario o postale dove il datore di lavoro abbia aperto un conto corrente di tesoreria con mandato di pagamento; d) emissione di un assegno consegnato direttamente al lavoratore, o in caso di suo comprovato impedimento, ad un suo delegato. L’impedimento si intende comprovato quando il delegato a ricevere il pagamento è il coniuge, il convivente o un familiare, in linea retta, o collaterale del lavoratore, purché di età non inferiore a sedici anni.

La modalità di corresponsione delle retribuzioni e dei compensi ai lavoratori è stata stabilita dall’art. 1, commi 910-914 legge n.205/17 (legge di Bilancio 2018). La violazione del predetto obbligo comporta la sanzione amministrativa di una somma pecuniaria da 1000 a 5000 euro (non è applicabile la diffida). L’Ispettorato nazionale del lavoro (INL) è intervenuto con la nota n.4538/18 sulla materia e sulle sanzioni spiegando che, in considerazione della ratio della norma, si deve ritenere che la violazione al nuovo obbligo di tracciabilità risulti integrata: quando l’erogazione avvenga con modalità diverse da quelle previste e anche nel caso in cui, nonostante l’utilizzo dei sistemi di pagamento consentiti, l’erogazione non sia stata realmente effettuata (es. bonifico successivamente revocato, o assegno annullato ante incasso). La firma apposta sulla busta paga non costituisce prova dell’avvenuto pagamento della retribuzione. Ne consegue che, afferma l’INL, ai fini della contestazione della violazione è necessario verificare non soltanto che il datore di lavoro abbia disposto il pagamento utilizzando gli strumenti previsti ex lege, ma che lo stesso sia andato a buon fine. Tutte le info sono reperibili dai Consulenti del lavoro. (comunicato stampa – Ordine Consulenti del Lavoro di Cosenza)

 

 

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