Omicidi di Cassano, Bruno Emanuele non si rassegna all’ergastolo e ritenta la carta della revisione del processo

omicidio avato

Condannato in via definitiva all’ergastolo per gli omicidi di Antonio Bevilacqua e Nicola Abbruzzese, consumati a Cassano allo Jonio il 27 febbraio 2004 e l’8 giugno 2003, il padrino delle Preserre vibonesi Bruno Emanuele ritenta la revisione del processo attraverso il ricorso per Cassazione. Alla Suprema corte, in particolare, hanno presentato la loro istanza gli avvocati Vincenzo Galeota e Giuseppe Di Renzo, dopo l’ordinanza emessa dalla Corte d’Appello di Salerno che lo scorso 29 settembre aveva ritenuto inammissibile la prima impugnazione straordinaria al fine pena mai pronunciato dalla Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro poi divenuto irrevocabile.

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La Corte di Cassazione

I competenti giudici di Salerno, in sostanza, aveva eccepito come l’istanza di revisione si limitasse ad una mera rilettura delle emergenze processuali definite nei diversi gradi di giudizio. I difensori di Emanuele, nel ricorso straordinario in Cassazione, lamentano invece come i giudici campani abbiano «travisato la portata dell’istanza ritenendola funzionale a fornire una rilettura postuma dell’istruzione probatoria espletata nell’originario giudizio», mentre essa – sostengono gli avvocati Galeota e Di Renzo – prospettava «elementi sopravvenuti rispetto al pronunciamento di condanna».

Tra i «fatti nuovi», quelli emergenti da «una consulenza balistica dalla quale emerge nitidamente la presenza di soggetti terzi ulteriori rispetto ai chiamati in correità e una dinamica dei fatti totalmente confliggente con il narrato del collaboratore», riguardo uno dei due omicidi. Venendo quindi meno la credibilità del narrato su uno dei delitti, sarebbe minata quella riferita all’altro. Il collaboratore in questione è Tonino Forastefano, boss di Cassano allo Jonio, che si autoaccusò dei due omicidi, consumati unitamente a Bruno Emanuele, che gli rese il favore prestatogli nell’aprile del 2002, quando lo stesso Forastefano lo coadiuvò nell’esecuzione del duplice omicidio dei fratelli Giuseppe e Vincenzo Loielo, boss delle Preserre vibonesi, eliminati per ragioni di supremazia territoriale.

Oltre alle contestate omissioni in tema di motivazione, da parte della Corte d’Appello di Salerno, e altre questioni di legittimità, i difensori di Emanuele rilevano come  la ricostruzione offerte dalle perizie balistiche, di cui una successiva al processo, confligga con la ricostruzione fornita da Forastefano, che – sempre per gli avvocati Galeota e Di Renzo – sarebbe stato al corrente, essendo intervenuta successivamente la sua collaborazione con la giustizia, delle dichiarazioni rese da un altro pentito, Domenico Falbo, il quale avrebbe preso parte in veste di basista all’esecuzione dell’omicidio Abbruzzese e che nella fase delle indagini preliminari non avrebbe mai menzionato proprio Emanuele, del quale riferì solo nelle fasi dibattimentali.

Illogicità, omesse motivazioni, ma anche «incongruenze», laddove – ad esempio – «la Corte d’Appello non ha valutato il peso dell’elemento sopravvenuto della revoca del programma di protezione in ragione della volontà di copertura dei sodali in uno all’assenza di dissociazione», da parte dello stesso Forastefano, le cui precedenti dichiarazioni sarebbero in contrasto, in alcuni frangenti, con quelle di un altro collaboratore, ovvero Giuseppe Garofalo, quantomeno riguardo la conoscenza originaria con Bruno Emanuele.

Tra l’altro, gli avvocati Galeota e Di Renzo segnalano come in un altro procedimentonel quale Forastefano esprimeva dichiarazioni accusatorie verso Bruno Emanuele, era la stessa Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro a richiedere l’assoluzione del padrino delle Preserre, «sollecitando l’esclusione dell’attenuante della collaborazione nei confronti del Forastefano, indotta dalla effettiva mancata dissociazione del collaboratore». In questo caso Emanuele veniva quindi assolto con una sentenza non appellata e quindi divenuta poi definitiva. (FONTE LACNEWS24 – DI PIETRO COMITO)

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