Movimento per la Vita Corigliano-Rossano: Gli anziani, memoria e anello di congiunzione tra le generazioni

L’umanità vive oggi un periodo nuovo della sua storia, caratterizzato da profondi e rapidi mutamenti, che progressivamente si estendono all’intero globo. Tali mutamenti determinati dall’intelligenza e dall’attività creativa dell’uomo, si ripercuotono su quest’ultimo, sui suoi giudizi e sui desideri sia individuali che collettivi, sul suo modo di pensare e d’agire, sia nei confronti delle cose che degli altri uomini, tanto che si può etichettare come una vera trasformazione sociale e culturale. L’ordine del mondo, un tempo cadenzato dai comandamenti di Dio, è ora regolato dalle ferree leggi del progresso e del mercato. Ne consegue che l’uomo è divenuto un “Io assolutista”, dissipato in una solitudine che diventa radicale. Tutto ciò mostra una realtà storica molto complessa tanto che l’organizzazione sociale e la cultura dominante, consentono di definire l’epoca in cui viviamo in termini di modernità.
Una modernità che ha conosciuto diverse trasformazioni, non più orientata verso la ricerca di relazioni, ma di reti, e soprattutto gli anziani, coloro che hanno vissuto più degli altri la complessità della modernizzazione, rischiano non solo di perdere una collocazione stabile nella società quanto di essere umiliati. Il riferimento è a quel tipo di umiliazione o offesa che deriva dalla svalutazione dell’identità e dal modello di vita di cui l’anziano è testimone, al quale non viene più riconosciuta una valenza positiva. Essere vecchi non significa solo trovarsi più vicini alla morte – un dato reale davanti al quale il mondo moderno sa opporre solo un sentimento di terrore –, quanto piuttosto
sentirsi più indifesi, meno desiderabili, inutili ai fini della produttività: portatori di una sorta di “vergogna sociale”, quella di incarnare quanto di più letale esista per l’immagine vigente di eterna bellezza e di sconfinata felicità che l’odierna società propone. Può accadere che l’età della pensione non sia più il tempo atteso in cui realizzare qualche sogno nel cassetto e coltivare le relazioni importanti, ma quello della chiusura in casa e dell’isolamento. In tal senso, la riflessione bioetica possiede sotto questo profilo spazi di operatività sconfinati. Essa deve denunciare tutte le forme di violenza, in gran parte subdole e indirette, cui vengono sottoposti gli anziani, così come l’ineluttabilità e la progressività del loro declino psico-fisico; la denuncia di un mito pernicioso, perché in questo risiede, in gran parte, la ragione della situazione di disagio –sociale, politico, psicologico- in cui nella modernità vengono spesso a trovarsi gli anziani, vittime di dinamiche di emarginazione intollerabili sotto tutti i profili.

Occorre, allora, guardare all’ontologia della condizione anziana in quanto tale. Motivo per cui è quanto mai doveroso e necessario rivendicare i diritti dei soggetti anziani, oltre a fronteggiare l’ostacolo più grande, quel duro dato, come ha scritto Romano Guardini, della “segreta ostilità che la vita in crescita oppone alla vita declinante”. Non
dimentichiamo, che “la vecchiaia è espressione di una biologia in un ambiente”, secondo la felice espressione di Andreoli e che l’ambiente è nozione meta-biologica, nella quale interagiscono dinamiche psicologiche, politiche, sociali, storico-culturali. La vecchiaia appare oggi alla stregua di una età della vita caratterizzata sì (peraltro come ogni altra età della vita) da particolari fragilità –e proprio per questo meritevole di doverose e specifiche attenzioni igieniche, biomediche e sociali-, ma non certo come una età in cui si debba necessariamente – in virtù di una imperscrutabile volontà della natura – affievolirsi il diritto alla salute, inteso in senso più lato, come diritto alla cura. Tutto ciò fa sì che il tema degli anziani, divenga sempre più oggetto di dibattiti e discussioni. Ed anche se la società attuale tenda a considerare l’anziano sempre e solo come un ‘peso’, in realtà è portatore di esperienza
e di un proprio bagaglio culturale, che sono di grande utilità a tutti noi. Le persone di una certa età hanno vissuto dinamiche politiche, sociali ed economiche che le nuove generazioni faticano a comprendere. Non si deve dimenticare che gli anziani sono la radice di ciò che noi siamo, le nostre origini, l’albero da cui siamo germogliati e a cui attingere per trovare non solo conforto, ma soprattutto esperienza. Hanno una lunga storia da raccontare, numerosi gli eventi e le esperienze vissute, le vicende che hanno tracciato la loro personale avventura, rappresentano il “filo conduttore” del nostro passato che ci permette di conoscere ed apprezzare maggiormente il nostro presente. Sono custodi della “memoria collettiva”, e perciò interpreti privilegiati di quell’insieme di ideali e di valori comuni che devono reggere e guidare la convivenza sociale. Escluderli è come rifiutare il passato, in cui affondano le radici del presente, spesso in nome di una modernità senza memoria. Incisive sono le parole affermate dal Santo Padre quando ribadisce che “[…] la vecchiaia è un dono e i nonni sono l’anello di congiunzione tra le generazioni, per trasmettere ai giovani esperienza di vita e di fede. Da qui, la decisione di istituire la Giornata Mondiale dei Nonni e degli Anziani, che si terrà a partire dal prossimo 25 luglio in tutta la Chiesa ogni anno la quarta domenica di luglio, in prossimità della ricorrenza dei Santi Gioacchino e Anna, “nonni” di Gesù. Papa Francesco, ritiene impellente suscitare, attraverso azioni e progetti, un cambio di mentalità, spronare anche le istituzioni perché la prospettiva sia quella di dare centralità agli anziani attingendo al loro bagaglio di vita, alla poliedricità delle loro esperienze. Bisogna aprire canali di dialogo in cui l’ascolto dei figli e dei nipoti sia un ascolto responsabilizzante. Allora, da cosa si può partire per ripensare una solidarietà tra generazioni?

Ancora una volta, torna quanto mai attuale e stringente l’idea di responsabilità proposta da Jonas alla fine degli anni ‘70 nella sua opera principale, Il principio di responsabilità, in cui il richiamo ad un imperativo categorico è di fondamentale importanza oggi. Responsabile è il comportamento di chi agisce in modo che le conseguenze della sua azione siano compatibili con la permanenza di un’autentica vita umana sulla terra. L’etica jonasiana definita come “etica del e per il futuro”, è il punto di partenza del lungo e non affatto facile cammino verso una maggiore cura dell’uomo. Da qui, allora, la necessità di ri-stabilire legami fra generazioni che come si evince nella teologia di Papa Francesco, hanno bisogno di parlarsi e «il dialogo intergenerazionale costruisce senso se connette affetto e società, intimità e socialità, rapporti caldi e impersonalità, memoria e rispetto, ossia pensare e progettare la società futura sull’accoglienza e sul dialogo. Ad essere coinvolti in questo percorso, infatti, non sono solo le generazioni eredi, ma anche gli anziani: la riconoscenza per il dono della vita è l’esito generativo dell’ultima fase dell’esistenza. La riconoscenza dei più giovani deve, quindi, esprimersi non solo nella cura degli anziani quanto «inscriversi in un ordine di senso che trascende la concretezza delle prestazioni di aiuto ed i confini spazio-temporali ristretti del rapporto tra genitori anziani e figli adulti, per dispiegarsi in una prospettiva multigenerazionale». Questo approccio alla vecchiaia consente di ricucire non solo i legami, quanto la trama culturale e morale del sociale, che sfida la cultura dello scarto con quella “gioia traboccante” auspicata da Papa Francesco di un nuovo abbraccio tra i giovani e gli anziani!

Prof.ssa Aquilina Sergio, Responsabile Commissione Biogiuridica MpV Corigliano-Rossano

(Comunicato Stampa)

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