Sul finire del XVIII secolo, i Compagna ebbero però un tracollo finanziario, a causa di speculazioni di Paolo Antonio non andate a buon fine. Perciò furono costretti a ritornare a Longobucco dove, nel 1806, morì prima Pietro e, qualche giorno dopo, anche suo figlio Luigi, per mano del brigante Antonio Santoro detto Re Coremme. La sommatoria di tutte queste circostanze negative, consumate in poco tempo, fanno
pensare a una famiglia molto sfortunata. L’altro figlio, Giuseppe, aveva però una grande voglia di riscatto e di vendetta verso i banditi che avevano ammazzato il fratello Luigi. In quegli anni sovrano del Regno delle Due Sicilie era Giuseppe Bonaparte, fratello dell’imperatore Napoleone. Pertanto Giuseppe si mise al servizio dei francesi che stavano organizzando una spedizione punitiva contro Coremme, filoborbonico, asserragliato a Longobucco. Il 19 febbraio 1807 il Generale Pejri con le sue truppe, guidate da Giuseppe Compagna,
mosse alla volta di Longobucco. La battaglia tra francesi, da una parte, briganti e longobucchesi, dall’altra, fu cruenta e a fasi alterne. Ma nell’occasione Giuseppe Compagna si guadagnò la stima delle autorità governative che lo ricompensarono con l’impiego della direzione dell’Ufficio per la Contribuzione Diretta di Cosenza, struttura nata in seguito alla riforma tributaria varata nel 1806 da Giuseppe Bonaparte.
Era un’epoca in cui, si legge in un verbale del 1808 del Consiglio Provinciale di Cosenza, “i migliori dunque fra’ cittadini sfuggono le cariche amministrative nella loro patria, quelle cariche che in altri tempi onorevolissime sarebbero tenute”. Per Giuseppe, invece, questa sistemazione rappresentava un porto sicuro dopo le traversie subite dalla sua famiglia.
Accadde, però, un fattaccio. Ai superiori del Compagna arrivò una memoria anonima con la quale si raccontava di richieste di soldi, che provenivano dal suo ufficio, finalizzate ad alleggerire il carico fiscale dei proprietari terrieri. Perciò nel 1810 Giuseppe Compagna venne messo sotto processo per “tentata concussione contro i proprietari di Rossano nella somma di ducati duemila, contro il duca di Corigliano in ducati quattromila, contro il principe di Luzzi in ducati mille e contro la principessa di Tarsia in ducati seicento; nonché di abuso di potere, per favore, e contemplazione, nelle mutazioni fatte nei Ruoli di Aprigliano, e Rende a danno dei Signori Grandinetti, e di tre luoghi Pii, ed in favore dei signori Giuseppe Cosentini e Cesare Guarasci.” Senza entrare nei particolari tecnici di questa vicenda, c’è da dire che la Corte Criminale di Cosenza nel 1811 assolse Giuseppe Compagna da ogni imputazione a suo carico. Lasciato l’incarico pubblico, libero da ogni accusa, Giuseppe iniziò a partecipare da protagonista al grande banchetto della vendita dei beni ecclesiastici che si era aperto in quel periodo e al quale – a dire il vero – aveva iniziato a prendere parte già dal 1809. Lui che apparteneva a una famiglia che circa dieci anni prima aveva dovuto lasciare Corigliano per problemi finanziari, che si era dovuto accontentare dell’impiego a Cosenza, nel 1809 acquistò terreni dei Cistercensi di Scalzati per 5.225 ducati. Molti acquisti avvenivano con le cedole, titoli di stato il cui valore di mercato arrivava a essere il 20% di quello nominale, ma di sicuro non era alla portata di tutti mercanteggiare con questi titoli e utilizzarli per fare acquisti. Il 23 marzo 1812 Compagna comprò la Difesa Agarò, che aveva terreni seminativi e a pascolo in Sila, e la Foresta del Patire per ducati 37.239,30. Negli stessi anni, in Terra di Lavoro, acquistò i feudi di Rocca d’Evandro e di Cocoruzzo. Il 20 febbraio 1815 a Napoli, con atto del notaio Emanuele Caputo, comperò dall’impresario teatrale Domenico Barbaia quattro difese in Sila e ventotto fondi demaniali. Entrò altresì in possesso della difesa Neto, già appartenente al soppresso ordine dei Conventuali di Castrovillari.
A leggere l’elenco di queste prime acquisizioni viene naturale chiedersi come fu possibile per Giuseppe Compagna sostenere il salto, immenso e repentino, da impiegato statale a businessman, in competizione con i ricconi della provincia che di sicuro non assistevano passivamente, e bendisposti, all’entrata sulla scena dei buoni affari di questo concorrente parvenu. C’entrava la precedente occupazione di Giuseppe con gli incidenti di percorso subiti? Di sicuro l’assoluzione giudiziaria è un tassello importante nella vita di un uomo che ha subito un’imputazione, ma la verità processuale vale anche come verità storica? Quesito al quale hanno cercato di dare risposte fior fiore di filosofi e di giuristi. Comunque, se non è possibile risalire alla verità storica, non resta che limitarsi a prendere atto di quella processuale e contentarsi.
Martino A. Rizzo
I racconti di Martino A. Rizzo. Ogni mercoledì su I&C
Martino Antonio Rizzo, rossanese, vive da una vita a
Firenze. Per passione si occupa di ricerca storica
sul Risorgimento in Calabria. Nel 2012 ha pubblicato
il romanzo Le tentazioni della
politica e nel 2016 il saggio Il Brigante Palma e i misteri
del sequestro de Rosis. Nel 2017 ha fondato il sito
anticabibliotecacoriglianorossano.it. Nel 2019 ha curato la pubblicazione
dei volumetti Passo dopo passo nella Cattedrale di Rossano,
Passo dopo passo nella Chiesa di San Nilo a Rossano,
Le miniature del Codice Purpureo di Rossano.
Da fotografo dilettante cerca di cogliere
con gli scatti le mille sfaccettature del paese natio
e le sue foto sono state pubblicate nel volume di poesie
su Rossano Se chiudo gli occhi.