La magica notte della Befana nelle tradizioni popolari di Rossano

La notte tra il 5 e il 6 gennaio tradizionalmente in Calabria è avvolta dal fascino del mistero per l’arrivo della Befana che si accompagnava alla curiosità di vederla all’opera.

Quante volte siamo andati a letto col proposito di non addormentarci e far finta di dormire per scoprirla mentre depositava i regali nella calza posta ai piedi del letto? Tante volte. Però poi il piano falliva e la mattina al risveglio si trovavano i regali che portavano la felicità per i doni ricevuti ma anche un po’ di rammarico per non essere riusciti a vederla.

Senza cercare di andare in là nel tempo, già dai primi anni del ‘900 la Befana passava in tutte le famiglie, quelle ricche e quelle meno ricche. Cambiava solo la qualità e il valore dei doni, ma di sicuro la Befana arrivava a casa dei bambini.

A Rossano, nelle famiglie modeste, la calza oltre a un po’ di cenere e di carbone, che rappresentavano la punizione per le malefatte dell’anno precedente, conteneva un torroncino, due-tre caramelle, e per i più fortunati “na pupidda e pezza”, o un cavalluccio di cartapesta con le gambe di legno, oppure una trombetta o un’armonica a bocca e magari una piccola locomotiva di latta tutta colorata.

Ai figli delle famiglie più fortunate invece la Befana portava giocattoli più voluminosi che non entravano nella calza.

Comunque in un’epoca in cui i giocattoli non si trovavano come oggi anche nei supermercati o nei tanti bazar che si vedono in giro, ogni giocattolo era graditissimo e magari rappresentava l’unico passatempo da custodire gelosamente.

Poi man mano il mercato andò sviluppandosi e a Rossano si iniziarono ad ammirare le belle vetrine con giocattoli nel negozio di don Gennarino Lepera, a San Nilo, e in quello di don Leonardo Antoniotti, in via Buenos Aires.

Negli anni ’60, invece, subito dopo Capodanno, arrivavano le bancarelle di giocattoli tra Piazza Steri e Piazza Santi Anargiri che contribuirono a rendere ancora più generosa la festa. Era un’epoca in cui Babbo Natale si manteneva ancora distante in quanto non portava doni ai piccoli rossanesi e delegava la Befana che doveva provvedervi. Ricordo sempre che la più grande bancarella di giocattoli si posizionava davanti al palazzo Rizzuti, tra la Drogheria e il portone del palazzo. E c’era sempre la bancarella di mastro Peppino, il falegname che aveva il laboratorio ai “Cappuccini” dove realizzava i suoi giocattoli in legno.

Un grande impulso ad alzare la qualità dei doni portati dalla Befana, venne dato anche dalla grande cartoleria aperta di fronte al Palazzo Sorrentino, sempre negli anni ’60.

Ma la Befana non era solo doni, era innanzitutto magia. Intorno al braciere, nella serata del 5 gennaio, ai bambini si raccontava che quella notte dai rubinetti sarebbe uscito olio e dalle fontane vino, che gli animali avrebbero parlato tra di loro e se fossero stati sazi avrebbero mandato benedizioni al padrone, in caso contrario sarebbero fioccate le maledizioni nei suoi confronti. E poi si raccomandava ai bambini di stare molto attenti nel muoversi durante la notte perché i muri delle case, solo per questa notte, sarebbero diventati di ricotta col pericolo di crolli. Infine si cantava questa filastrocca benaugurale che faceva sperare che si avverassero i desiderata che frullavano in testa: “Santa notte e santa Lia, Santa notte e l’Epifania, venim nsonn furtuna mia, venim nsonn cu na vision ca a cunt a ogni persuna, venim nsonn un mi far spagnar famm sapir chidd ca hai e passar”.

Martino A. Rizzo

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