La chiesa di Piazza Steri, racconto di Martino A. Rizzo

Fino al 1813 a Rossano in Piazza Steri, all’incirca dove oggi si trova la torre dell’orologio, vi era un complesso di edifici che comprendeva anche una chiesa dedicata alla Santissima Trinità.

Carlo Blasco ne parla nel XVII secolo, poi Luca de Rosis nel 1838 e ambedue raccontano che la chiesa aveva il tetto a cupola e sul pavimento c’era un bellissimo mosaico mentre le pareti erano arricchite da preziosi dipinti.

Il de Rosis racconta anche che questa chiesa fu edificata sulla base del disegno di un antico tempio pagano dedicato a Iside. Attaccato alla chiesa c’era un ospedale per i pellegrini con una ruota per depositare i trovatelli e, questa volta è il Blasco che parla, un «Santo Monte della Pietà» dove «si prestano denaro sopra i pegni dei cittadini, a quali si dona quella somma di che il pegno stimerassi al doppio valevole».

La chiesa della SS. Trinità aveva vari possedimenti tra i quali la proprietà del sito di San Biagio di Vale dove ai tempi di San Nilo vi si trovava un antico monastero.

Nel 1813, i francesi che governavano il Regno delle Due Sicilie, decisero si abbattere questi edifici per ampliare Piazza Steri.

Pertanto sulla chiesa rossanese della SS. Trinità oggi abbiamo le poche righe scritte dal Blasco, dal de Rosis e una rappresentazione grafica recentemente elaborata dal prof. Isidoro Esposito sulla base dei suoi studi e che si può ammirare nel presente articolo.

Della chiesa però, oltre agli autori locali, ne parlò anche Aubin-Louis Millin de Grandmaison (1759- 1818), storico e archeologo francese, che arrivò a Rossano nel luglio 1812, accompagnato dal pittore Franz Ludwig Catel (1778-1856) e dallo scrittore Astolphe de Custine (1790-1857),

Millin compiva un’inspection patrimoniale commissionata dal ministro dell’Interno francese Jean-Pierre Bachasson, conte di Montalivet, con lo scopo di verificare e studiare la consistenza e lo stato di conservazione del patrimonio artistico delle regioni d’Italia da poco entrate nell’impero napoleonico, com’era appunto il caso del Regno delle Due Sicilie.

Lo scopo del viaggio di questa delegazione era quindi quello di raccogliere documentazione (disegni, stampe, libri) ed essendo una missione ufficiale Millin poteva contare su risorse finanziarie, su supporti logistici in loco nonché su lettere di raccomandazione e su permessi rilasciati dalle più alte autorità francesi in Italia.

Così oggi gli appunti di Millin, i disegni di Catel e gli scritti di Custin, relativi a questa esperienza, rappresentano una preziosa documentazione sul patrimonio artistico dell’epoca.

Da qualche anno tre studiosi italiani di storia dell’arte, i professori Antonio Iacobini, Anna Maria D’Achille e Gennaro Toscano stanno approfondendo le carte di Millin conservate presso il Département des Estampes et de la Photographie della Biblioteca Nazionale Francese e, grazie ai loro studi, è oggi possibile ampliare le conoscenze

anche sulla chiesa della SS. Trinità che non esiste più. Il presente articolo si basa proprio sui loro studi.

Nei giorni 9, 10 e 11 luglio 1812, i tre viaggiatori stranieri si fermarono a Rossano, facendo una puntata anche al Monastero del Patire. Giovedì 9 vennero accolti e invitati a pranzo dal sottoprefetto e durante il loro soggiorno visitarono la cattedrale, S. Marco, «ancienne église grecque», e la chiesa di Piazza Steri.

In cattedrale non ci fu nulla che catturò la loro attenzione. A San Marco si soffermarono sui particolari e le vicinanze architettoniche con la Cattolica di Stilo.

Nella chiesa della SS. Trinità invece si trattennero molto. Nei suoi appunti Millin la descrive come un’antica chiesa greca, con piccole colonne e una porta in stile gotico che datò intorno al 1200.

I tre studiosi furono molto attratti dal pavimento musivo e dal suo disegno con caratteristiche orientali a cinque ordini di annodature circolari e nel cui tappeto rettangolare si trovavano animali reali e fantastici, pesci e mostri antropoidi; monocromo, delimitato sui due lati lunghi da una cornice pseudo-cufica, mentre su uno di quelli brevi correva una fascia reticolata con motivi gigliati.

Questo pavimento, «con animali simile ai tappeti orientali», rappresentava un unicum assoluto nel gruppo meridionale dell’XI-XII secolo e il suo schema ordinatore a cerchi annodati affondava le radici nella tarda antichità e nel Medioevo mediterraneo latino e bizantino. I cerchi erano annodati tra di loro ma non alla cornice perimetrale, come accade fino all’età romanica nella maggioranza dei casi.

Millon appuntò nel suo diario che il mosaico era «di qualche artista greco; anche se diversi pezzi sono stati asportati».

Catel riprodusse perciò il disegnò del mosaico pavimentale, tanto decantato da Blasco e dal de Rosis, che precedentemente Millin aveva fatto lavare e pulire con cura. La riproduzione del mosaico venne eseguita su una tavola dalle misure di mm 540 x 340, con matita, inchiostro nero e acquerello grigio.

Questa tavola oggi rappresenta la sola testimonianza esistente di un particolare di un monumento rossanese che non esiste più. Ha un eccezionale valore perché consente di affermare che il mosaico in esso riprodotto non costituiva a Rossano un caso isolato. Infatti alcuni dei motivi presenti nel foglio trovano comunanza nei resti del pavimento del XII secolo riemersi nel 1952 al di sotto del presbiterio della cattedrale della città.

Tenuto conto della disposizione complessiva e dell’orientamento delle figure, si sarebbe portati a pensare che quello riprodotto fosse il tappeto principale di un edificio, probabilmente non grande, a navata unica e che la parte bassa del mosaico corrispondesse alla zona d’ingresso e che la fascia reticolata superiore segnasse la soglia del presbiterio. Infatti purtroppo alla rappresentazione del mosaico non è collegata nessuna misura sulla estensione del mosaico e gli appunti di Millin non forniscono informazioni sulle dimensioni dello stesso.

Le pareti della chiesa erano arricchite da bei dipinti di Luca Giordano sulla Redenzione che, purtroppo, con la distruzione della chiesa scomparvero. Secondo Luca de Rosis, all’epoca dei fatti sindaco della Città, uno se lo accaparrò il tenente colonnello di linea Druat di Marsiglia e un altro il tenente Tougard di Fecam dipartimento della Senna. Per fortuna un altro riuscì a prenderlo il parroco rossanese dell’epoca, don Giacinto Joele. Comunque pare che altri dipinti della chiesa siano tutt’ora presenti presso antiche famiglie di Rossano.

Insomma, tra colonne, mosaici sul pavimento e Luca Giordano alle pareti, la chiesa della SS. Trinità di Rossano doveva essere proprio un piccolo scrigno.

Lasciata Rossano i tre visitatori, si fermarono a Corigliano dove Catel disegnò i «resti di un acquedotto a tre livelli, forse di epoca angioina, e dall’aspetto pittoresco». Poi proseguirono nella piana di Sibari e successivamente, passando da Castrovillari, rientrarono a Napoli il 17 luglio 1812.

Dopo il 1813 i parrocchiani della chiesa della SS. Trinità, ormai demolita, vennero aggregati una parte alla Cattedrale e un’altra a San Bernardino.

 

PS. È possibile consultare articoli e vedere immagini sulla Chiesa della SS. Trinità in Piazza Steri a Rossano e sul viaggio di Millin su questo sito.

I racconti di Martino A. Rizzo. Ogni mercoledì su I&C

Martino Antonio Rizzo, rossanese, vive da una vita a

Firenze. Per passione si occupa di ricerca storica

sul Risorgimento in Calabria. Nel 2012 ha pubblicato

il romanzo Le tentazioni della

politica e nel 2016 il saggio Il Brigante Palma e i misteri

del sequestro de Rosis. Nel 2017 ha fondato il sito

anticabibliotecacoriglianorossano.it. Nel 2019 ha curato la pubblicazione

dei volumetti Passo dopo passo nella Cattedrale di Rossano,

Passo dopo passo nella Chiesa di San Nilo a Rossano,

Le miniature del Codice Purpureo di Rossano.

Da fotografo dilettante cerca di cogliere

con gli scatti le mille sfaccettature del paese natio

e le sue foto sono state pubblicate nel volume di poesie

su Rossano Se chiudo gli occhi.

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