Il terremoto di Rossano del 1836 raccontato dai testimoni. Racconto di Martino A. Rizzo

Corigliano-Rossano – Sul terremoto che colpì Rossano la sera del 24 aprile 1836 esistono varie testimonianze e questo articolo ne riporta qualcuna.

Innanzitutto la relazione fatta dal sindaco dell’epoca Michele Romano. «Il terremoto prima urtò da sotto in sopra, poi con moto di compressione sprofondassi il terreno, come quando grano s’insacca; indi forti ondulazioni successero, infine da terribile vertigine sembrò soprappesa la superficie della terra, ed in diversa ed incerta direzione commoveasi in ogni luogo, siccome il mare quando da contrari venti è combattuto. Il sotterraneo turbine si agitò per trenta secondi, ristette tre minuti primi; indi con novella furia, quasi non sazio del mal fatto sollevasi abbattendo quanto altro mai aveva risparmiato la prima volta. Dopo mezzora replicò ancora, ma più debolmente, e tutta la notte il terreno fu ad ogni istante soprappeso da strana vibrazione. Cosi ogni cosa da violento tremuoto urtata s’infranse, e cadendo in un confuso mucchio si tramutò. Una polvere opprimente levossi, e soffocò in parte i gemiti e le strida di infinito popolo che periva o fu presso a perire. Molti schiacciati fra le rovine finirono la vita; alcuni, rotte le membra e tenendo parte del corpo incarcerata sotto enorme peso, videro sul loro capo travi pendenti, rovinevoli muri minaccianti morte, e sfiduciati accusarono la terra, che per prolungare ad essi il supplizio, già non gli avesse inghiottiti. Ma, allorché, dopo soli tre minuti, il terremoto replicò, cangiossi nuovamente la condizione della perduta città. Le case tuttavia rimaste in piedi precipitarono, e le indebolite mura sfasciandosi aprirono il varco a mille che già erano precipitati nello sfondarsi dei tetti e dei pavimenti e come bruti, presi nella trappola, stavano miserevolmente vivi…». Dalla “Storia di Rossano” di Alfredo Gradilone, Ed. MIT Cosenza, 1967, pag. 702 e ss.
Altre testimonianze si trovano nel “Cenno storico della città di Rossano e delle sue nobili famiglie” di Luca de Rosis del 1838. Eccone alcune.

«Rapporto di padron Antonio Florio di Amalfi, che trovavasi colle sue barche ed attrezzi pescarecci nella spiaggia detta Cento Fontane. La sera del 24 aprile mi trovavo aver posto il Concio in mare: verso le due ore della notte vidi dal lato di levante una lucente meteora a guisa di un trave d’igneo colore, che si dileguò nella più profonda inserratura del golfo. Verso l’ore tre turbatosi il tempo venne forte pioggia, ed io di unita a’ marinari lasciammo il Concio a mare, e mi ritirai al pagliaro. Cessata la pioggia restò in calma il mare e l’aria serena. Verso le ore sei mi recai colla ciurma di mio seguito sulla spiaggia per metterci a mare, ed andare a pescare colla rete, così detta Sciabaca: nel prepararci a tale ufficio fummo improvvisamente scossi da forte tremuoto, sollevandosi la terra ondeggiante sotto de’ nostri piedi, in modo che tre de’ miei marinari caddero bocconi, ed io cogli altri barcollando ci tenevamo uniti: in questo mentre il mare si allontanò dalla sponda molti passi, e continuando la terra a muoversi, ci affrettammo tutti sbigottiti di ritornare al pagliaro, ove giunti tutti attoniti osservammo che il mare, spinto da fiera tempesta, alzò le sue onde con tanta veemenza che giunsero fino al pagliaro: nel ritirarsi portò seco sette nostre barche, facendole urtare tra di loro in modo che rimasero danneggiate: continuò la forte agitazione del mare per più tempo, indi gradatamente si ritirò alla sua sponda, ma sempre fremente, per cui non andammo alla pesca neppure il dì seguente: la mattina ritrovammo nel littorale sbalzati dal mare molti pesci, che raccolti e cotti non poterono mangiarsi perché putridi. La mattina del 27 ci portammo a mare per ricuperare il Concio, ma non lo rinvenimmo: tentammo buttare la sciabaca nel solito luogo, ma con sorpresa scoprimmo, che quel tratto di fondo di mare, ove abbiamo fatto sempre la pesca, e da noi per tanti anni scandagliata la profondità di venti passi d’acqua, si è talmente inalzato con monti di Duna, Cotone o siano Albajone, che in oggi non se ne misurano che quattro, per cui questa cala è inutilizzata; abbiamo tentato pescare in altro sito disiante da quello circa un miglio, e successivamente in altri punti, ma come non abbiamo preso pesci, per cui pensiamo ritornare alla patria».

«2.° Rapporto di padron Antonio Apicella di Majuri, dalla spiaggia detta Japichello. La sera del 24 aprile il mare si ritrovava in bonaccia, talché lasciai le mie barche tirate a poco distanza dal lido. Verso le due della notte, che colla mia ciurma riposavamo nel pagliajo, due marinari ch’erano ancora all’erta, vennero ad avvertirmi di avere inteso un Rombo, e d’essere infocata 1’aria dal lato di levante, chiedendomi se volevo, che le barche fussero tirate più in giù, ma siccome mi dissero, che non vi era vento ed il mare in calma, gli risposi d’essere inutile tal fatica, mentre da lì a poche ore saremmo andati alla pesca. Presi tutti dal sonno, fummo risvegliati da un forte scotimento della terra, che per il moto di compressione or si alzava, or si bassava dai nostri piedi: intesi che l’onde frangevano, e nell’atto che la terra tremava corsi di unito alla ciurma verso le barche per salvarle, ma non potei tanto eseguire perché il mare l’aveva poste a galla: in questo mentre mi si abbassò il suolo, ed il mare mi giunse fino al petto sollevandomi con impeto, talchè fui obbligato di unita a molti miei marinari di porci a nuoto, e fummo slanciati dal mare fino alla pagliaja, distante dal lido più di ottanta passi: pieni di timore aspettavamo il  nuovo giorno per andare a ricuperare le barche sbattute sulla spiaggia, che le ritrovammo in distanza tra 1’una e l’altra».

«3.° Rapporto di padron Giuseppe Apicella che trovatasi nella cala delta Fondi. Ritrovandomi in mare pescando colla Menaita fui sorpreso dal sonno di unita a quattro marinari della mia ciurma. Verso le ore sei della notte stando tra veglia e sonno intesi che il mare tifolava, e le acque bollivano: immediatamente risvegliai i marinari, ordinando di sarpare la Menaita per restituirci al pagliaro: nell’atto che tanto eseguivamo fu ingojata dal mare la detta Menaita: non passò molto che il mare si rese empifondo, e le acque si gonfiarono a segno, che la barca fu sollevata in aria circa quaranta passi, e nel cadere ci ritrovammo nel secco, per cui giudicammo di essere stati sbattuti a terra, ed io rimasi trasecolato come ciò fosse accaduto. Tutto ad un tempo le acque ritornarono a guisa di torrente, e posero la barca nella sua superficie; cercammo prendere la spiaggia, e date poche remate fummo con maggior veemenza di nuovo sbalzati all’aria, e buttati circa trenta passi distanti dalla sponda, di tal che la barca è rimasta fracassata, e tre marinari pieni di contusioni e ferite».

«4-° Rapporto del signor Giuseppe Amarelli. Tra la cala denominata Fondi ed il castello di S. Angelo, vi è situato un mio fondo. In un tratto di terreno circa cento passi distante dal lido del mare, la mattina del 25 aprile vi si ritrovò una sorgente di acqua calda e sulfurea mescolata con dell’arena nera, e con qualche granello di zolfo: questa sorgente perdurò per più giorni, indi disparve. Dippiù il terreno ha fatto molte fessure, e tra 1’una e l’altra si osserva dell’arena del mare».

Documenti e altre testimonianze sono consultabili sul sito:

https://anticabibliotecacoriglianorossano.it/aree-tematiche/fuochi-di-san-marco/sullo-scaffale-documenti-libri-articoli/

Martino A. Rizzo

 

I racconti di Martino A. Rizzo. Ogni mercoledì su I&C

Martino Antonio Rizzo, rossanese, vive da una vita a

Firenze. Per passione si occupa di ricerca storica

sul Risorgimento in Calabria. Nel 2012 ha pubblicato

il romanzo Le tentazioni della

politica e nel 2016 il saggio Il Brigante Palma e i misteri

del sequestro de Rosis. Nel 2017 ha fondato il sito

anticabibliotecacoriglianorossano.it. Nel 2019 ha curato la pubblicazione

dei volumetti Passo dopo passo nella Cattedrale di Rossano,

Passo dopo passo nella Chiesa di San Nilo a Rossano,

Le miniature del Codice Purpureo di Rossano.

Da fotografo dilettante cerca di cogliere

con gli scatti le mille sfaccettature del paese natio

e le sue foto sono state pubblicate nel volume di poesie

su Rossano Se chiudo gli occhi.

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