Il terremoto del 25 aprile 1836, racconto di Martino A. Rizzo

La mattina del 25 aprile 1836, alle sei e quindici precisamente, un terremoto, unito a un maremoto, distrusse Rossano provocando danni gravissimi in tutto il Circondario. Il sisma raggiunse una magnitudo stimata di Mw 6.1, con due scosse a distanza di tre minuti.

Luca de Rosis, testimone diretto dell’evento, col suo testo “Cenno storico della città di Rossano e delle sue nobili famiglie” del 1938, ha lasciato una descrizione molto dettagliata di questa catastrofe, descrizione che oggi si vuole in parte riproporre perché, a distanza di quasi due secoli, risulta sempre efficace e rappresentativa di quella tragedia più che qualsiasi ricostruzione postuma possa fare.

Al tramontar del dì 24 dalla parte di levante stendeansi lunghe nubi a guisa di lingue acumina te, che immobili non sembravano essere agitate d’alcun vento. Più tardi quel rombo di tristo presagio fece sentirsi nuovamente, e verso le due ore della notte la stessa meteora apparve dal lato del cielo, che sovrasta tutta la linea da Rossano a Crosia, e che corre da mezzogiorno a greco-tramontana. Dopo un’ora, e precisamente nelle ore tre della notte l’aria turbossi fortemente, ed una copiosa pioggia cadde, che durò fino alle ore quattro e mezzo. Indi succedette una calma, ed il termometro di Reamur segnava gradi 14.º Questo era l’aspetto del cielo: altro ne presentavano gli animali che sulla terra vivevano. Gli uomini stanchi dalle fatiche del giorno sicuri eransi dati in preda al riposo. Non così gli animali bruti, che inquieti e spaventati col correre, col tremare, col gridare mostravano che alcuna cosa ch’essi non intendevano, ma che pur terribil era, si avvicinava. Vidersi i cavalli, che trovavansi in camino fermarsi e mandare insoliti nitriti, inquieti e sospettosi girar l’occhio, ergere ed inegualmente tender le orecchie, e contro l’usato non ubbidire alla voce di chi li guidava: i cani inarcando i loro peli, serrando al ventre la coda, e tremando guaire ed urlare: le pecore, e le capre col muso fitto al suo lo mettere esile e tristo belato, e forte e cupo muggito tramandare i tori. I porci medesimi rompendo ogni argine all’impazzata fuggire per la campagna. Così un arcano istinto con spaventosi presentimenti avvertiva del pericolo chi poco o nulla il poteva evitare! Ma ecco alle ore sei, e minuti 15 d’Italia la terra scuotersi sì fortemente che sembrar voleva di ritornare nel primo caos. Un Rombo precedè la tremenda scossa. Vi ha chi ha narrato che da vari moti venisse squassata ed agitata la terra, e crede che non mancò nè il moto subsultorio, nè quello di compressione, nè il vertiginoso. Io confesso, e con me quanti ho voluto interrogarne, che solo il movimento ondulatorio fu avvertito, che veementissimo per circa 30 minuti secondi andò minorando, ma pur si avvertiva fino al termine di due minuti. Questo ondeggiamento sì prolungato si misurò egualmente da tutti desumendolo dal tempo impiegato, e dallo spazio percorso nella fuga. A questa sì forte, e prolungata scossa si videro le mura sformati nel loro angoli quasi l’uno contro l’altro lanciarsi. I tetti ed i pavimenti delle case perduti i loro appoggi cadere in rovina: un abisso par che volea aprirsi per ingoiare la città tutta.  L’ora del disastro essendo quella del riposo, coloro cui fu dato il potere fuggire, nudi e tremanti si riunirono nelle piazze. Intanto una densa nube di polvere elevatasi dalla repentina caduta delle mura, mista a vapori d’un aria, che vedeasi cupamente rossigna, tramandava un ingrato odore, che impediva il libero respirare.

Lo spavento ed il terrore d’un avvenimento sì terribile avea quasi istupiditi gli animi, quando dopo qualche minuto una seconda scossa benché meno veemente, nuovi danni aggiungendo a’ primi fe avvertire agl’infelici Rossanesi, che i loro mali non erano terminati. Nudi, chè l’ora del tristo caso era quella destinata al sonno, incerti del destino che li attendea, piangendo i cari, che il non vederli vicini facea credere estinti, su di una terra che sembrava non volerli più reggere, e che da un momento all’altro parea che volesse ingojarli, vennero spinti a grida di disperato dolore. Io non credo che mai più compassionevole scena fossesi veduta. Per colmo de’ mali mancava un sorso di acqua per rinfrescare le fauci inaridite per la polvere, che le rovinate mura producevano, mancavano le vestimenta per difenderli dal fresco di una notte di aprile. Benefica religione! Quando l’uomo vede tutto mancare intorno a se, quando i suoi sforzi sono già esauriti, a Dio, che tutto può, si rivolge, e a Dio si rivolsero prostrati innanzi a crollati tempi gl’infelici Rossanesi, onde placasse l’ira sua.

Della città di Rossano, come da noi è stata descritta in queste carte, nel fatale avvenimento, quasi una terza parte è interamente atterrata, altra parte benchè atterrata non fosse è divenuta inabitabile, e quel che di essa rimane è così bizzarramente screpolata e scomposta che la provvidenza del governo dovè ordinare la demolizione delle parti rovinevoli, che sporgenti sulle strade avrebbero potuto far temere ulteriori danni. Nè i vasti edifici, nè i sontuosi tempi de quali era adorna, come le più umili case furono dal flagello devastatore rispetta te.    

In men che non balena un’intera città non presentava che un mucchio di pietre miste a masserizie e commestibili di ogni specie, ed a quanto l’arte e la natura concede a l’uomo riunito in società per suo agio e comodo. E tutto una sola ora distrusse. […] Non eran passati che poche ore da che era avvenuta la prima e la seconda scossa, e non era ancora apparso il dì novello, che vidersi animi coraggiosi, che spinti dal vincolo di sangue, e talora dal solo spirito di filantropia in mezzo a rottami di mura caduti, e di mura che minacciavan cadere, andare in cerca di chi soccorso implorava, e in men di due ore furono dissotterrati 259 infelici chi più chi meno feriti e contusi. Ed eterna lode ritrovi in queste pagine un Francesco Morelli muratore, generoso per quanto sventurato, che spinto da un impulso di umanità a soccorrere una infelice donna a nome Gabriela Clemente, che con suo figlio Leonardo Pinto, dalle rovine del palazzo del signor Monticelli con dolorose grida aiuto chiedeano, ritrovò la morte insieme con questi sventurati sotto un muro che in quel punto rovinò”.

Questo terremoto e la successiva ricostruzione incisero profondamente sulla struttura urbanistica di Rossano. Niente fu più come prima. Innanzi tutto mutò aspetto Piazza Steri e si iniziò a pensare alla costruzione della nuova Torre dell’Orologio, furono recuperate alcune aree malmesse e poi si cominciò a edificare nella zona alta della città, da Piazza Steri fino al Castello del Ciglio della Torre, costruendo negli Orti di San Bernardino e creando nuove strade, nuovi quartieri e nuovi palazzi.

Per chi volesse leggere tutta la descrizione del de Rosis, le testimonianze del sindaco dell’epoca Michele Romano, del barone Amarelli, dei signori Apicella, di Achille Antonio Rossi, può farlo scaricando liberamente il testo “Il Terremoto di Rossano del 24-25 aprile 1836 raccontato dai contemporanei” dal sito:

http://anticabibliotecacoriglianorossano.it/wp-content/uploads/2021/04/de-Rosis-Romano-Rossi-Il-Terremoto-di-Rossano-del-24-25-aprile-1836-raccontato-dai-contemporanei.-AnticaBibl.CoriglianoRossano-2021.pdf

Martino A. Rizzo

 

I racconti di Martino A. Rizzo. Ogni mercoledì su I&C

Martino Antonio Rizzo, rossanese, vive da una vita a

Firenze. Per passione si occupa di ricerca storica

sul Risorgimento in Calabria. Nel 2012 ha pubblicato

il romanzo Le tentazioni della

politica e nel 2016 il saggio Il Brigante Palma e i misteri

del sequestro de Rosis. Nel 2017 ha fondato il sito

anticabibliotecacoriglianorossano.it. Nel 2019 ha curato la pubblicazione

dei volumetti Passo dopo passo nella Cattedrale di Rossano,

Passo dopo passo nella Chiesa di San Nilo a Rossano,

Le miniature del Codice Purpureo di Rossano.

Da fotografo dilettante cerca di cogliere

con gli scatti le mille sfaccettature del paese natio

e le sue foto sono state pubblicate nel volume di poesie

su Rossano Se chiudo gli occhi.

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