Il pentito Nicola Acri vuota il sacco sul clan rossanese: parla del clan Morfò e Manzi

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Sei ore di lungo e complesso interrogatorio nella casa circondariale di Rebibbia a Roma. Il pentito Nicola Acri si racconta e riferisce degli accadimenti interni alla cosca rossanese e agli omicidi compiuti nel territorio. Occhi di ghiaccio, così è soprannominato Acri, è stato sentito dal procuratore aggiunto Vincenzo Capomolla e dal sostituto Stefania Paparazzo, oltre ai graduati del reparto investigativo dei carabinieri.

Due i filoni intrapresi nel rossanese: i rapporti con i Morfò e i Manzi, due famiglie con le quali spesso si sono consumati attriti e contrasti. La gola profonda parla di Salvatore Morfò con cui inizialmente vi erano rapporti solidi poi, però, a causa di intervenuti dissidi, il superboss lo avrebbe emarginato pur consentendogli di continuare a svolgere le attività illecite nella gestione delle macchinette dei giochi elettronici e del traffico di sostanze stupefacenti, oltre al fenomeno estorsivo. Ovviamente il punto di riferimento per il rifornimento rimaneva il gruppo riconducibile a Nicola Acri.

C’era anche un mercato attorno alla vendita di latticini, di prodotti da forno e dell’acqua. Il pentito racconta una vicenda di un ragazzo di Caserta rappresentante di latticini a cui Morfò avrebbe impedito di esercitare. Dopo una serie di segnalazioni pervenute a Nicola Acri per il tramite di familiari, il boss intercede su Morfò rimproverandolo. Il tutto si risolve con l’assunzione del giovane nella ditta di Morfò salvo poi licenziarsi per ritardi nei pagamenti.

I rapporti con i Manzi e le ingerenze non gradite

Altro capitolo è il rapporto con i Manzi, sin dal 1999 compromessi. Sullo sfondo ingerenze non ammesse. In una circostanza il gruppo Manzi avrebbe agito contro un trafficante di droga che operava per conto della cosca Acri. Affronto che non venne granché accettato. Si diede vita a un’azione punitiva che culminò nella gambizzazione di un pregiudicato con una pistola calibro 6.35 in una fabbrica di marmi. Il pentito parla dei rapporti con Luciano Converso, il 43enne ucciso nel 2007 con cinque colpi di pistola in contrada Momena. Converso si rivolse ad Acri per capire come dovesse comportarsi con Antonio Manzi ( ex capo locale di Rossano). Converso all’epoca aveva avviato l’attività imprenditoriale nel settore dell’edilizia e, su questo, Acri gli consigliò di non esporsi molto. In questa fase il superboss finisce dietro le sbarre a seguito dell’operazione Tamburo e in un colloquio in carcere il fratello gli riferì che il Converso avrebbe dovuto decidere a seconda di come si sarebbe comportato Antonio Manzi. Lo stesso Acri, tuttavia, apprenderà dalla stampa la notizia dell’agguato ad Antonio Manzi e al figlio Francesco avvenuto a Rossano in cui rimasero feriti. In un successivo incontro carcerario tra Nicola Acri e il fratello, ad Occhi di ghiaccio arrivarono i saluti di Antonio Manzi, il che significava che lo stesso era pervenuto a “più miti consigli”. Quando esce dal carcere Nicola Acri viene informato che l’agguato teso a Manzi era stato eseguito dai suoi uomini i quali a loro volta si sono avvalsi dell’ausilio dei cosentini. Questo verbale è transitato nell’ambito del processo Stop che si sta svolgendo in Corte d’Appello a Catanzaro.

Il duplice omicidio Cristaldi-Nucerito

Il collaboratore di giustizia fornisce all’antimafia indicazioni importanti anche sull’altro processo che si sta svolgendo sempre in corte d’Assise d’Appello a Catanzaro sul duplice omicidio avvenuto nel cassanese dei due pregiudicati Giuseppe Cristaldi e Biagio Nucerito commessi nel gennaio del 1999. Acri si autoaccusa, ma con lui c’erano anche altri e caccia fuori i nomi: Franco Abbruzzesedetto “Dentuzzo” (capo della cosca degli zingari)  e Filippo Solimando (a capo della cosca coriglianese ed ora al 41 bis), gli esecutori materiali, mentre Occhi di ghiaccio avrebbe fatto l’autista. (LACNEWS24.IT)

 

 

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