Il carisma e la leadership del Brigante Palma, racconto di Martino A. Rizzo

Com’era la personalità del brigante Domenico Straface, detto Palma? Che indole aveva questo brigante vissuto nell’800 nel Circondario di Rossano, rispettato come un sovrano, capace di tessere relazioni a ogni livello? Perché nessuno riusciva ad arrestarlo anche se le sue gesta preoccupavano persino il re? Sono domande che inevitabilmente si pone chiunque si appassioni alla storia del brigantaggio. All’epoca non ci furono psicologi che esaminarono il temperamento di Palma e quindi non disponiamo di consulenze tecniche in merito al suo carattere. Possiamo comunque farcene un’idea attingendo a tante fonti ma soprattutto ai racconti di un testimone diretto che tanto ha scritto sul capo brigante basandosi sulla sua esperienza, avendo trascorso più di un mese insieme ai fuorilegge. Si tratta di Alessandro de Rosis che in quanto suo prigioniero rimase trentasei giorni con Palma e che ha lasciato un prezioso diario di questa esperienza. Ed è proprio Alessandro che racconta del sangue freddo di Palma il quale nelle situazioni di pericolo aveva la capacità tipica dei comandanti di mantenere dritta la barra, senza lasciarsi prendere dal panico e aggrovigliarsi nei tentennamenti. Studiava il da farsi e poi, da stratega qual era, impartiva con risolutezza le conseguenti direttive. Durante un rastrellamento dei soldati i briganti erano stati accerchiati e, racconta il de Rosis, che era: “inutile dire che intorno a noi regnava un profondo silenzio che avrebbe potuto sentirsi perfino il ronzìo di una mosca, e i briganti guardavano il terribile loro capo che meditabondo continuava a porgere l’orecchio come se avesse la facoltà del preascoltare. Dopo alcuni istanti uscì da quella posizione d’ispirato, si strofinò gli occhi e la fronte e s’udì sulla nostra testa uno strido di sinistro uccello. (……) Solo il capobanda non si mosse, e se ne stava freddo e impassibile, come il genio del male, che specula nel silenzio ove possa infiltrare la sua terribile influenza. Io ero attonito e meravigliato.” Se per leadership si intende la peculiarità di chi in un gruppo occupa la posizione più elevata ed è in grado di influenzare gli altri membri guidandoli nel perseguimento di scopi comuni, di sicuro Palma di leadership ne aveva da vendere e ciò gli consentiva di gestire con disinvoltura i rapporti con i suoi briganti, con gli umili che lo adoravano, ma anche con tutti i “complici dabbene” che aveva nella prefettura e in ogni angolo, utili per evitargli la cattura. Un’altra caratteristica di Palma, raccontata sempre dal de Rosis, era la sua capacità di allontanarsi fisicamente e mentalmente dalla piccolezza dei suoi complici e approfittare così della distanza per meglio riflettere, senza intralci, sui passi da compiere. Forte, inoltre, era la consapevolezza del suo ruolo. Sempre Alessandro riferisce che un giorno i briganti stavano “seduti attorno ad un piccolo fuoco mangiavano del prosciutto arrostito, e bevevano. Solo il Capobanda non pigliava parte alla refezione, ma fumava invece dall’un canto del fuoco pensieroso e taciturno.” Infatti, anche quando tutti i componenti della banda desinavano lui si distingueva dagli altri. “Seduto nel posto più eminente colla caribina sempre alla portata della mano dominava sù tutti gli altri il Palma, ostendando una sovranità assoluta…”. Gli apparteneva anche il dominio delle emozioni, tipico dei capi, e le sue reazioni non erano mai estemporanee, ma maturate con studiata consapevolezza e secondo i tempi voluti. Un giorno, di fronte a una risposta energica di Alessandro de Rosis, che si era ribellato a una minaccia dei briganti, “Il Capobanda sulle prime rimase come pietrificato, ma il suo volto era spaventevole; i suoi occhi scintillavano di un fuoco sconosciuto. Io lo aveva provocato; e mi aspettava un tremendo castigo. Ma invece ripone il coltello nella guaina, indi si apre lo sparato della camicia e ne cava un piccolo crocifisso, e presolo in mano e baciatolo empiamente, si cavò il cappello, e disse-, Giovinotto la tua sfuriata avrebbe potuto costarti la vita sai? con me non si scherza, ma tu non mi conosci ancora, e ti compatisco. Ma sappi che se per tutto domani non verranno i danari, giuro su questo Cristo che ti mozzerò gli orecchi, e li manderò a tua madre, lo giuro e sarà fatto. E dopo questo sacrilego giuramento, tornò a riporsi il crocifisso fra il petto e la camicia, e divenne calmo.” Non si risparmiava con la vendetta quando riteneva che fosse necessaria per ribadire il suo prestigio. Padula riferisce che il 3 settembre 1864 attaccò il casolare di Giuseppe Arci, colono del barone de Stefano, perché un giorno che era passato da quelle parti, l’Arci si era subito recato a Rossano per “recarne la nuova alle autorità.” Pertanto il capobanda sentenziò che come: “premio al tuo zelo avrai la morte.” A nulla valsero le scuse, le implorazioni e le grida dei familiari del povero Arci: “quaranta colpi di pugnale crivellarono il corpo dell’infelice, ed i briganti partendosi consegnarono alle fiamme il casino”. A fronte di questi atteggiamenti implacabili, non difettava di gentilezza quando a suo giudizio riteneva che fosse opportuna. Nelle lunghe scarpinate, durante il sequestro de Rosis, Palma non faceva mancare il suo supporto ad Alessandro: “fu con mia gran sorpresa che questa volta l’uomo terribile volle camminarmi allato, dandomi nei luoghi pericolosi e difficili il suo braccio. Ed oltre questo mi fu in tutto quell’aspro viaggio cortese ed umano, dicendomi ad ogni tratto: vedete il bene che io vi voglio!” La sua magnanimità poteva toccare anche gli avversari. Alessandro racconta che un giorno due suoi briganti “ritornarono con una terza persona con le mani legate e avvinte al tergo. Era un povero vecchio tutto tremante – chi è quest’uomo? – domandò ai due briganti Domenico Palma. È un nostro nemico, ha avuto il coraggio di negarci la sua brocca. Dunque tu resisti alla nostra autorità – disse Palma – perché hai nègato la brocca? Palma non sa perdonare! guai chi lo contrasta? Raccomanda a Dio l’anima tua. A questa intimazione il vecchio si lasciò cadere colla faccia per terra ed emise un lamentevole grido…. Alzati – diss’egli al vecchio – ho perdonato alla tua vecchiaia. Ma giura che non farai nessun male alla compagnia! Giura che rispetterai Domenico Palma!” Scenografica quest’altra scena del 19 maggio 1868 quando un lauto pranzo che si svolgeva tra i briganti nei boschi fu offerto anche ai contadini e ai pastori del luogo che erano arrivati a omaggiarlo. Queste erano anche le occasioni utili per “vendere” la sua immagine di capo e incrementare il senso di devozione verso di lui. “Il capobanda armato di tutto punto se ne stava seduto in luogo più eminente ed alto, dal quale dominava tutta la scena, come un re nel suo trono, stringendo con la destra la sua caribina a mo’ di uno scettro; e veramente che lo scettro di un brigante è la caribina. Ma quel che colpì grandemente la mia attenzione erano una trentina di montanari, schierati ad emiciclo, di fronte al capobanda, i quali, umili in atto, e coi cappelli in mano aspettavano grazie e favori; o che almeno il loro generale parlasse. – Ecco diss’io allora, i sudditi del Re della Sila i quali sono venuti a rendergli omaggio. E l’altero capobanda, quell’uomo rio di più di cento omicidi ebbe girato uno sguardo benevolo sù quella masnada di malfattori si rizzò fiero e aitante nella persona sur un poggiuolo, e col cappello tirato a sghembo di cui le anse facevano svolazzare i lunghi nastri di velluto nero, e con una mano appoggiata sulla caribina, come su di una clava; così prese a dire. – Amici mi è nota da gran tempo la vostra fedeltà; e sono di voi molto soddisfatto. Oramai la mia protezione vi aspetta e vi accompagnerà sempre e vi difenderà contro tutti. Sappiate che da oggi correrete pericolo di essere arrestati, incatenati, da quei cani di soldati. Ma voi sappiatevi guardare e se per disavventura avverrà che vi pigliassero alla trappola contate sempre sul mio appoggio, e sù quello dei miei protettori! le vostre mogli, i vostri figli, le vostre intiere famiglie saranno alimentate coi denari della compagnia, e protette dalla buona gente. Coraggio adunque e fedeltà fino alla morte, perché Iddio è con noi e protegge la nostra santa causa. – Viva il generale Palma! gridarono tutti, – Silenzio per carità non facciamo rumore dicea il Palma, ed ora ogniuno venga a parte da me, che avrà la sua ricompensa, e andiede in punto che io non poteva vedere; ma dopo poco ritornò con una borsa piena di oro e d’argento; ed egli con certa grazia fiera e balda porgeva loro una mano, acché la baciassero e coll’altra dispensava piastre e Napoleoni d’oro, affinché nessuno se ne fosse ritornato a casa sua colle mani vuote dicendo loro: – Non vi perdete d’animo; non temete né arresti né fucilazioni, statevi guardinghi; e fatemi sapere chi ne sono gli autori e gl’istigatori.” Cercando di ricostruire con l’immaginazione la scena descritta sembra di trovarsi di fronte a una rappresentazione dell’Enrico V di Shakespeare, in cui il sovrano prima della battaglia, col famoso discorso detto di San Crispino, facendo leva sulla sua forte personalità, riesce a influenzare, rassicurare e incitare con autorevolezza, saggezza, prestigio, fascino, autorità, generosità, quelli che combattono con lui. Anche se Palma non era un re ma soltanto il figlio senza padre di una donna del popolo longobucchese.

Martino A. Rizzo

I racconti di Martino A. Rizzo. Ogni mercoledì su I&C

Martino Antonio Rizzo, rossanese, vive da una vita a

Firenze. Per passione si occupa di ricerca storica

sul Risorgimento in Calabria. Nel 2012 ha pubblicato

il romanzo Le tentazioni della

politica e nel 2016 il saggio Il Brigante Palma e i misteri

del sequestro de Rosis. Nel 2017 ha fondato il sito

anticabibliotecacoriglianorossano.it. Nel 2019 ha curato la pubblicazione

dei volumetti Passo dopo passo nella Cattedrale di Rossano,

Passo dopo passo nella Chiesa di San Nilo a Rossano,

Le miniature del Codice Purpureo di Rossano.

Da fotografo dilettante cerca di cogliere

con gli scatti le mille sfaccettature del paese natio

e le sue foto sono state pubblicate nel volume di poesie

su Rossano Se chiudo gli occhi.

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