Editoriale. Una casa di moderati per combattere il populismo…

editoriale

editoriale

Il populismo è da ritenere una vera e propria forma mentische considera il popolo come un’entità che forze ostili tentano di tenere artificialmente diviso ed al quale vengono attribuite qualità etiche indiscutibili che lo contrappone, nel suo realismo, operosità e integrità, all’ipocrisia, inefficienza e corruzione delle oligarchie politiche, economiche, sociali e culturali; al di sopra delle quali rivendica il primato come fonte di legittimazione del potere al di là di qualsiasi forma di rappresentanza e mediazione.

In generale gli elementi alla base della nascita dei partiti o movimenti populisti e degli exploit elettorali che si stanno registrando in tutto il mondo, sono l’insicurezza economica e sociale, nonché l’inefficacia politica. Ma dopo campagne elettorali infuocate, alla prova di governo tali formazioni approdano a posizioni decisamente più moderate, puntando il più delle volte su provvedimenti simbolici in linea con l’universo dei valori dei propri sostenitori.

Se ci troviamo di fronte a soggetti che pensano di potersi costruire da se le proprie verità pontificando su tutto, è perché le tradizionali classi dirigenti hanno perso gran parte della loro legittimazione e non sono più in grado di guidare le masse, chiuse come sono nella loro imperturbabile autoreferenzialità. Occorre quindi riscontrare che i populismi sono proprio figli della crisi delle élite, senza attribuire a questo alcun giudizio di valore, ma constatando che ciò produce spesso risposte aberranti che sono il frutto di una lettura iperbolica, deformata e talvolta delirante degli eventi, in cui salta il nesso di causalità tra il tradimento delle vecchie classi dirigenti e la costruzione di saperi farlocchi ed autogestiti.

Si apre così, e si viene via via dilatando, un immenso spazio di frustrazione, nel quale proliferano i germi più nocivi: la perdita del senso della realtà, che fa ritenere plausibili operazioni del tutto improbabili o improponibili; la ricerca del capro espiatorio, che spinge a identificare un colpevole e a sperare che, eliminato e punito quello, tutto possa magicamente risolversi; il complottismo, che quel colpevole lo vede non soltanto inetto, ma consapevolmente e perfidamente intento al male; l’indignazione cosmica, perché se ci sono soluzioni semplici e a portata di mano, allora è un’indecenza che non le si attui subito; la sindrome del tanto peggio tanto meglio, perché siamo a tal punto delusi e furibondi che quelli che ci sono adesso non li vogliamo vedere mai più, accada quel che accada.

Di fronte alla valanga di tali affermazioni elettorali siamo disorientati, non vogliamo cedere alla deriva populista e tuttavia non riusciamo ad orientarci nella giungla delle offerte. Sono spenti i luoghi di discussione e di incontro, nei quali ci si poteva confrontare, e quindi lo spaesamento induce indolenza e voglia di mettersi da parte. Ma è proprio questo approccio che oscilla tra la pretesa di essere i soli depositari della conoscenza e delle buone pratiche di governo, e l’Aventino, dal quale si pretende di osservare passivamente le evoluzioni di questa nuova espressione politica sperando nel suo totale fallimento, che genera ulteriore disincanto e presa di distanza.

Tale approccio è, oltretutto, anche politicamente suicida. Suicida perché beffeggiare movimenti politici che conquistano milioni di voti augurando loro il naufragiomentre si sta comodamente seduti in poltrona, non è il miglior modo per ricostruire il rapporto di fiducia che dovrebbe riattivare quella delega e quel mandato conferito comunque da milioni di cittadini elettori. Occorrerebbe, invece, aprire un confronto serio sui temi e stimolare i nuovi governanti a riflettere sul fatto che in molti casi è necessario essere impopolari, anche quando occorre occuparsi del popolo, perché la complessità non va banalizzata.

In questo contesto l’unica vera speranza per assicurare un baluardo alla deriva dei populismi è credere nell’affermazione del principio della moderazione che è la sola che conferisce i requisiti di analisi e ponderatezza in grado di orientare le scelte. Solo questa capacità, di aderire al momento storico e al succedersi degli eventi e di fasi diverse, consente di conservare e far affermare l’ininterrotto primato della moderazione, in uno schema che deve essere riproposto vincente in un canovaccio distinto da una alternativa non praticabile e che conferma ancora l’egemonia della ragione.

E’ in tale prospettiva che si rifletteva sulla necessità di pensare seriamente ad una “casa dei moderati” in grado di contenere non più istanze di destra o di sinistra, schemi ormai superati dalla storia, ma bensì quelle forme di dialogo, confronto, approfondimento ed analisi propedeutici alle scelte, da contrapporre all’isteria. Non si possono rincorrere i populisti sul terreno di chi le spara più grosse o nella condivisione di un sentimentanarcoide ed anticonvenzionale.

Molte volte ci è stato chiesto o suggerito di abbracciare la nuova causa prevalente, ma, a nostro avviso, non si sale sul carro dei vincitori per opportunismo, ma solo perché ci piace l’itinerario e la rotta tracciata coincide con la nostra. Anche perché, a ben pensarci, non ci ha mai spaventato avere delle convinzioni minoritarie, quello che realmente ci spaventa è avere delle convinzioni non nostre.

Dal 1992 questo paese è andato in dissolvenza, si è passati dalla politica solida, dei partiti, anche se nell’epoca dei compromessi e del consociativismi, ai partiti liquidi, privi di strutture organizzative e che non hanno mai celebrato un congresso. Oggi siamo alla politica spray, evanescente, che può decidere di chiudere un’intera legislatura sul nome di un ministro, e che ormai si regge quasi integralmente su quella che in gergo tecnico potremmo definire il mondo virtuale o la realtà aumentata.

Tuttavia occorre prendere atto che in tutta Europa si realizza, ormai, un nuovo schema, nel quale si contrappongono blocchi omogenei: da una parte i partiti europeisti, da un’altra gli euroscettici, ed ancora gli xenofobi o gli anti Islam. Ma al di la dei nuovi schieramenti che si vanno configurando, è necessario constatare che le ricadute delle scelte toccano i destini e le aspettative di tutti i cittadini europei.

Sulle politiche di bilancio, ad esempio, costrette dalla “necessità” a scelte tanto obbligate quanto improprie, andrebbe aperta una riflessione profonda, che qui rimane confinata a una parentesi: un’interpretazione un po’ troppo generosa di questo momento politico italiano parla di un ritorno del “primato della politica”; ecco, non vi sarà alcun primato della politica se questa non si riapproprierà di “libere” scelte sui bilanci pubblici, strette nell’alternativa tragica tra smantellamento del welfare e rinuncia alle politiche di sviluppo.

Il massimalismo della proposta politica dei populisti li porta spesso a banalizzare anche il rapporto con la storia. In questo periodo non è infrequente ascoltare affermazioni tipo: “Qui si fa la storia”, oppure “dateci tempo perché stiamo facendo la storia”. Mai si dovrebbe maneggiare la Storia, alcuni pensano di dominarla ma la loro azione è solo una virgola o il tratto storto di un testo smarrito. Si sa infatti che con la Storia tutto diventa relativo, perché esistono storie che possono essere false ed altre inverosimili, ma sono gli uomini con le loro storie che tracciano le mappe che servono ad orientarci e non farci perdere lungo sentieri e tracciati impervi o semisconosciuti, nei quali occorre camminarci dentro per vivere tutta un’altra storia.

In conclusione ritornando sul tema dell’approccio populista ai governi delle nostre comunità, si dovrebbe ribadire un invito alla moderazione al fine di evitare quegli eccessi che molte volte portano ad assumere decisioni più di facciata, che di effettiva efficacia sulla finanza pubblica o sulla qualità e densità dei servizi ai cittadini ed alla qualità della loro vita.

Certo viene da chiosare che quei temi, e non le soluzioni, sia chiaro, non sono stati affrontati dalle élite dei competenti non è per un infortunio, un’occasione persa, un treno non preso, ma solo per l’ostinata e deliberata volontà di non affrontarli e di farli deragliare sul binario morto dell’irrisione.

È in questo spazio di frustrazione che nascono e crescono questi movimenti, i quali vengono talvolta detti anche antipolitici, ma nella reale prospettiva antipolitici non lo sono affatto: al contrario, sono nostalgici di una politica potente che c’era e non c’è più, e promettono di ripristinarla. Sia chiaro: con questo non si vuole affatto sostenere che quei partiti non diano, a domande quanto mai reali, risposte magari sgradevoli, pericolose o estreme, ma assai concrete – basti pensare al tema della sicurezza. Si vuole però dire che quelle domande reali e quelle risposte concrete nuotano in un brodo psicologico e storico ben più vasto, variegato e complesso.

Antonio Capristo

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Articoli correlati: