Editoriale. Morte Acri-Olivo, vi sia giusta interpretazione norme

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La morte del piccolo Pier Emilio e dei suoi giovani genitori Daria e Stanislao, ha scosso e ha addolorato una intera Regione e anche l’Associazione “Basta Vittime Sulla Strada Statale 106”.

Non c’è solo la tristezza per una Famiglia intera che ha perso prematuramente la vita ma c’è anche quella di chi resta che, purtroppo, resterà per sempre e con il tempo difficilmente si affievolirà. Personalmente non conoscevo nessuno di loro ma – ironia della sorte – solo poche settimane fa Stanislao mi fu presentato da un comune amico (anche se entrambi sapevamo chi fosse l’altro), e mi colpì non poco perché appena dopo le presentazioni la prima cosa che mi disse fu “complimenti per quello che stai facendo”.

Ricordo con commozione – sincera e profonda – che salutandoci – dopo questo passaggio durato pochi attimi – gli dissi che sarebbe stato un piacere per me rincontrarlo per scambiare quattro chiacchiere e, dopo un timido sorriso, lui annuì e poi ci salutammo per quella che sarebbe stata l’ultima volta.

Trovo pertinente e condivido il commento di Matteo Lauria – Direttore responsabile I&C – circa le responsabilità dello Stato! In molte famiglie del territorio c’è chi è costretto per ragioni di salute a dover emigrare fuori dalla nostra Calabria spesso anche per complicazioni mediche poco significative. Come per la sanità anche i nostri trasporti versano complessivamente in condizioni comatose ed anche se qualcosa inizia, in verità a muoversi, occorrerà qualche anno ancora per rivedere la luce e, comunque, sarà sempre troppo poco rispetto ai ritardi accumulati nel corso degli anni. A tutto ciò si unisce una legge sull’omicidio stradale che ritengo un passo in avanti rispetto al passato ma che spesso trova, in molti giudici, una interpretazione orientata nella direzione di “salvare chi resta, chi è vivo” piuttosto che rendere giustizia “a chi non c’è più” forse anche perché questo atteggiamento è – soprattutto al Sud – un fatto che appartiene alla nostra cultura.

Ho molto apprezzato gli interventi alla Camera ed al Senato rispettivamente dell’On. Francesco Sapia e dell’On. Rosa Silvana Abate. Così come ho apprezzato l’intervento del Ministro Di Maio. Non solo perché la loro sensibilità ci ha portati ad un senso di appartenenza, di comune militanza e di solidarietà che in politica è importante ma che ormai sembra sparita con la prima repubblica. Ho apprezzato i loro interventi soprattutto nel merito: perché ritengo che loro oggi, ancor di più dopo questa tragedia, abbiano il dovere morale di onorare il grande consenso ricevuto con l’impegno di cambiare, in meglio, questa nostra Calabria. Non è un compito semplice. Non sarà neanche immediato. Per questo a loro va il mio più sincero augurio di riuscirci e bene.

Tra le tante riflessioni, su questa tragica vicenda, quella espressa ieri nell’omelia da Mons. Giuseppe Satriano – con una sensibilità, un’eleganza, una delicatezza e, consentimenti, con una bellezza smisurata – ritengo sia in assoluto la più apprezzabile.

Ho l’onore e l’onere di guidare ormai da anni un’Associazione impegnata nel denunciare la pericolosità di una strada famigerata e tristemente nota come “la strada della morte” non solo alle Istituzioni e agli Enti preposti ma anche ai cittadini. La frenesia, lo stress, i problemi che la società contemporanea ci propone ogni giorno non possono farci dimenticare l’importanza non solo della nostra vita ma anche e, soprattutto, di quella degli altri.

Il piccolo Pier Emilio, Stanislao e Daria purtroppo non ci sono più ed hanno perso la vita su un’autostrada. La maggiore espressione di una strada “sicura”. Ma una strada sicura non esiste. Una strada sicura non esisterà mai se prima ognuno di noi non maturerà pienamente la consapevolezza di quanto è importante su ogni strada, nessuna esclusa, la massima attenzione e la cura più alta per se stessi e per gli altri.

Per se stessi perché ogni distrazione sulla strada – lo dico sempre soprattutto nelle scuole – è la dimostrazione di quanto può essere alto il nostro egoismo: il dimenticare che c’è qualcuno che ci ama e che senza di noi soffrirà per sempre. Qualcuno che aspetta a casa e che se non torniamo vivrà una vita priva di ogni felicità.

Per se stessi dico. Perché in questi anni ho avuto modo di conoscere anche chi è rimasto “vivo” dopo un incidente in cui aveva responsabilità ben precise ed in cui qualcun altro ha perso la vita.

Spesso, in questi anni mi sono chiesto: chi mai può dire quale può essere il dolore di una mamma o di un padre che ha perso un figlio in un incidente stradale. Chi può dire cosa provano e che vita vivono davvero?

In questi anni, molto spesso, un’altra domanda che mi sono sempre posto è stata questa: chi mai può dire cosa veramente prova chi è rimasto vivo ed è responsabile di un incidente in cui qualcun altro  ha perso la vita. Quale vita vivrà? Quante volte al giorno il rimorso di ciò che è avvenuto tornerà a far male durante il suo transito terrestre?

Su queste domande spero che ognuno di noi riesca ad aprire con se stesso una riflessione profonda.

Per qualche attimo, allontaniamoci dai pensieri di quella società che – come ha scritto bene Matteo Lauria è “tutta incentrata sul consumismo e materialismo, sull’utilitarismo, sull’immagine e l’apparire. Abbiamo messo al centro il denaro e reso periferico l’individuo” per riflettere sull’importanza della cura necessaria che, ognuno di noi, dovrebbe avere quando percorre una qualsiasi strada affinché sia sempre rispettata la nostra vita e, soprattutto, quella degli altri.

 

Fabio Pugliese

Presidente dell’Associazione

“Basta Vittime Sulla Strada Statale 106”

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