Editoriale. La giusta sintesi tra l’equilibrio e la trasformazione esistenziale

L’editoriale

Tutto scorreva in una normale quotidianità, finché qualcosa di impercettibile ai nostri sensi ha mandato in tilt un ben congeniale sistema di certezze, costruito con tanta cura nel tempo. Su questi saldi piloni si adagiavano le nostre  esistenze. Lo hanno chiamato lockdown, comprendendo una chiusura di spazio entro certi confini. Senza dimenticare, però, che in questi limiti gioca anche la variabile tempo. Un tempo oggettivo esterno, scandito a ritmo di minuti, ore, giorni, settimane e mesi e un tempo soggettivo interno che rintocca ad ogni sfumatura di percezione. Un tempo stretto, irrefrenabile, infinito, troppo lento o troppo veloce. Un tempo che spesso sfugge al controllo. Un tempo tutto da riorganizzare mentre prima scorreva inesorabile in una corsa forsennata su  strada, sulla quale qua e là si lasciava indietro qualcosa. Ad un certo punto un forte rintocco ha intimato l’‘altolà’. Ci si ferma e tutto intorno perde ogni riferimento, disorientando le menti.  È lì che il tempo comincia a farsi sentire, in un incontro faccia a faccia. È lì che il tempo chiede tempo, chiede ascolto, attenzione, parola, presenza. Il tempo, a volte amico a volte nemico, diventa così una scoperta, da riorganizzare, da recuperare, da rendere al meglio.

Immersi nel processo difficilmente è possibile rendersi conto di cosa stia accadendo. Bisogna necessariamente fermarsi un attimo per dare senso a ciò che succede. Può anche capitare che tutto accada e tutto passi accanto come se nulla fosse. Gli effetti del vivere necessitano di distendersi per poterli vedere con più chiarezza. Solo allora si percepisce che qualcosa è differente rispetto a prima, che qualcosa si è trasformato, ovvero ha cambiato forma. Per avere percezione dell’esserci l’uomo necessita di fissare dei punti fermi, che infondano sicurezza mentre si procede. Ciò genera la sensazione di poter stare in una base sicura che tenga lontano ogni idea angosciante data dall’incertezza di tutto ciò che sfugge al controllo. Si vorrebbe fermare il tempo, eternizzare il tutto, con l’illusione che tutto permanga immutato là dove si è lasciato.

Spesso anche se la situazione è spiacevole e frustrante si rimane ad essa fedele. È più facile accettare ciò che già si conosce che affrontare il volto sconosciuto dell’ignoto.

Pànta Rei” hanno detto, tutto scorre imperterrito, ogni cosa cambia e niente sarà più quello di prima, nello scorrere all’infinito perché “Nulla si distrugge e tutto si trasforma”.

Nel fluire e nel cambiare forma si dispiega il divenire. Opporsi crea resistenza e ostinazione, che a lungo andare travolgono l’esistenza inesorabilmente.È l’equilibrio che si cerca, spesso confuso con la staticità di un punto fisso stabile. Appena qualcosa perturba questo equilibrio si vacilla rischiando di cadere; volendo rimanere a tutti i costi aggrappati a quell’appiglio che sembra sicuro e stabile. È la dinamicità che permette di scorrere sull’asse di equilibrio, cercando sempre nuove calibrate centrature per stare in asse.

Divenire è un lungo processo di continue trasformazioni, alcune sono esterne, altre interne. Un incontro di forze, spesso opposte, che riescono a trovare espressione nella sintesi creativa.

Creare è potenziale di tutti, non capacità di pochi. Nell’etimologia della parola creare, dal latino Kere, si nasconde anche la parola crescere. Il risultato creato, infatti, non è  perfetto ma perfettibile, in un continuo viaggio di miglioramento, ovvero di crescita.

Le situazioni insolite arrivano a perturbare l’equilibrio quando è necessario mettere in atto una trasformazione esistenziale. Come quando si mette in viaggio e la persona che torna non potrà mai essere quella che è partita. In quel lasso di tempo diversi movimenti sono stati compiuti e diverse strategie sono state messe in atto. Augurandosi che ciò che avrà visto e appreso trovi collocazione e spazio nella propria vita, altrimenti quel viaggio sarà stata un’occasione persa.

Si potrebbe pensare che nel divenire si rischia di perdersi, di non ritrovarsi. La propria identità non è un monolite consegnato alla nascita, non è un punto di partenza, ma un punto di arrivo. Un continuo scoprirsi, inventarsi e reinventarsi, lasciarsi sorprendere da sé stessi, da quelle potenziali risorse tutte ancora interamente da scoprire.

Ciò che favorisce l’innesco di un cambiamento è una situazione di crisi. È la crisi infatti a creare quello stato di confusione, di stress e di agitazione nella vita della persona. Provare questo disagio è proprio ciò che spinge a ridefinire le condizioni. Prendere consapevolezza degli elementi in gioco è il primo passo. Per uscire dalla crisi è necessario rimettere tutto in discussione e fare delle scelte. Qualsiasi scelta comporterà delle conseguenze fuori e dentro la propria esistenza. Per questo è importante interrogarsi sul dove si vuole andare.

Affrontare una crisi è come ritrovarsi ad un crocevia, è necessario fermarsi e ri-orientare la propria direzione.

Gli antichi Greci esortavano a cominciare dal “Conosci te stesso” e io aggiungo di continuare poi con “Accetta e rivoluziona te stesso”.

Ognuno porta in sé il seme della rivoluzione, senza fare opposizione, perché nel cambiamento noi ci siamo dentro.

 

Teresa Carmen Gagliardi  (Psicologa e Psicoterapeuta)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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