Editoriale. La città…Vuota, ovvero reinventarsi una città

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CORIGLIANO ROSSANO Ho piacere di ricordare quanto in Luglio 2017 scrivevo, rammentando a me stesso come urbanista, alcuni “fondamentali” per chi da neofita si avvicinasse alla scienza della pianificazione territoriale.

Città: – Centro abitato di dimensioni demografiche non correttamente definibili a priori, comunque non troppo modeste, sede di attività economiche in assoluta prevalenza extra-agricole e soprattutto terziarie, e pertanto in grado di fornire servizi alla propria popolazione e a quella di un ambito più o meno vasto che ne costituisce il bacino d’utenza (o area d’influenza). La c. è uno degli elementi umani dello spazio geografico: in particolare un elemento insediativo e un elemento economico; è, o può essere, anche un elemento politico (perché sempre vi si concentrano almeno alcune attività di governo, da quelle locali a quelle nazionali o internazionali), e, ancora, un elemento culturale, sia in quanto luogo elettivo della produzione di cultura sia in quanto sede di beni culturali accumulatisi nel tempo. Da tale molteplicità di funzioni si evince l’importanza della c. e si comprende come essa risulti uno degli elementi-guida dell’organizzazione dello Stato.

Questa è la definizione che l’enciclopedia Treccani dà della città.

Tra tutti i tratti costituenti il numero di abitanti (demografia) ne è uno e nemmeno sostanziale per definizione, mentre seguono:

– spazio geografico

– Attività economiche in prevalenza extra agricole e soprattutto terziarie

– fornitura di servizi anche al bacino d’utenza

– elemento insediativo

– elemento economico

– elemento politico

– elemento culturale

– sede di beni culturali

 

Quindi una città non è e non potrà mai nascere quale somma di abitanti e di territori.

La città è la SEDIMENTAZIONE nel tempo di tutta una serie di attività umane che sul quel territorio, per ragioni complesse ed irripetibili, nell’arco della sua storia, e quindi nel tempo hanno dato luogo ad un organismo di residenzialità umana frutto di interessi, economie, attività, relazioni, culture e potere che miscelate tra loro hanno generato in quel luogo e solo in quel luogo, quel soggetto irripetibile che noi chiamiamo città, con il suo nome, anzi toponimo e la sua unica identità e lingua o dialetto (che poi guarda caso ci somiglia e ci fa esprimere per quelli che intimamente siamo).

Quanta superficiale improvvisazione pensare che unendo burocraticamente in una fusione per legge due entità urbane distinte, e che identità, si dia luogo ad una nuova città!

È come pensare che un blocco di statuario, marmo di Carrara, dello stesso volume e peso identico alla Pietà di Michelangelo ne abbia lo stesso valore!

Questo scrivevo a Luglio 2017, adducendo dal canto mio motivazioni tecnicamente e culturalmente valide per spiegare ai miei concittadini il punto di vista che mi portava ad impegnarmi per impedire questa fusione per come la parte avversa invece propugnava.

Poi la parola è passata alle urne ed il referendum, seppure senza quorum ci … mi ha collocato in minoranza e la fusione dal giorno dopo si è avviata a diventare realtà!

Forse che la vittoria del “si alla fusione” cambia di una virgola quanto precedentemente narrato, ed attinente all’essenza di una città?

Non mi sembra assolutamente ed allora come e cosa possiamo coniugare di queste due situazioni, entrambi facce della stessa condizione oggettiva?

Bisogna, così come recita il vecchio adagio, fare di necessità virtù ed affrontare la realtà per quanto dura ed ostica possa essere e con uno sforzo titanico cimentandosi in un’operazione mai tentata finora: come novelli Romolo, rifondare la nuova città dalle basi, ma non è di basi materiali di pietra o cemento quelle alle quali mi riferisco, ma basi culturali e di ottiche diverse per come sinora le due entità sono state viste, conosciute e percepite!

Le due città così come non è avvenuto nei secoli passati devono reinventarsi una identità non comune ma complementare per la nascita di una nuova presenza territoriale che possa, irradiandosi dalle loro soggettive e uniche connotazioni distendendosi sul territorio circostante creando quindi una nuova idea di città: la città che si propaga non più o non all’interno del suo perimetro o nucleo bipolare interno, ma che si irradi esterna di se stessa, fuori dalle sue ipotetiche ed inesistenti mura, riverberandosi sul e nel territorio circostante che non può che risentire della sua presenza, reinventandosi in uno spazio urbano concavo!

La nuova città quindi diventerà come un buco nero urbanistico, che con la sua presenza pesante condizionerà tutto il suo intorno che quindi non sarà più periferia, ma centro ritrovato del nuovo assetto urbano.

La grande innovazione sarà che magicamente le due entità resteranno soggetti irradianti ciascuna con le proprie connotazioni e caratteristiche, mentre sarà tutta la corona territoriale dell’intorno come novelle città giardino di Tony Garnier, concentriche a crescere e trasformarsi così come l’economia e la politica decideranno di volerla e poterla trasformare in base alle necessità delle popolazioni residenti e pendolari!

Non esiste progresso reale senza il sostanziale contributo della fantasia e dello studio, si deve pensare in grande e con nuovi criteri perfino di progettazione, ecco in questo senso deve essere immaginato il futuro delle due città se si vuole creare dal rigido materiale consolidato di partenza una nuova, grande innovativa realtà per questo territorio.

 

Mario Gallina

*architetto

 

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