Editoriale. 56% di astensionismo, è fare il gioco degli apparati. Auguri ai vincitori

Ha vinto il candidato che è apparso di meno, con il minimo sforzo. Segno che chiunque il centrodestra avesse proposto avrebbe comunque stravinto. Era questa l’aria che si respirava d’altronde sin dalle prime battute. Vuoi per logiche croniche di alternanza, vuoi per gravi responsabilità del centrosinistra e delle eccessive forme di polverizzazione tra movimenti e correnti interne.

Nel complimentarmi per il successo ottenuto dal nuovo presidente della giunta regionale Jole Santelli, l’auspicio è che la stessa possa rappresentare una Calabria diversa, pur nella piena convinzione – forse eccessivamente pessimistica – che il sistema incancrenito non lasci scampo neanche alla speranza. Ormai si vive tra rassegnazione, protesta e ragionamenti di pancia, da un fronte e dall’altro, tanto in Calabria avvitata sulla politica dell’alternanza per problemi mai risolti, quanto in Emilia la terra delle sardine. Ovunque emerge un dato: voto di protesta generalizzato e trasversale. In Calabria ancora una volta vince l’astensionismo e per i drammi che vive ci sarebbe ben poco da festeggiare con tarantelle o altro.  In quel 44% c’è tanto apparato (idem nel 2015), contrariamente  al voto libero, quello  di opinione, spontaneo e senza condizionamento alcuno che preferisce starsene a casa. Oramai è un dato costante in questa nostra regione, né si ha la sensazione che l’astensionismo sia un problema per la politica, tutt’altro. Oggi la formazione dei governi la determinano le oligarchie, gruppi di poteri trasversali che muovono e decidono l’economia e, di conseguenza, il consenso. L’obiettivo è, per costoro, raggiungere il Palazzo e poco importa se a votare sia solo il 44% di cittadini, mentre il 56% diserta. Il cittadino è ancora convinto che questo modo di protestare (restare a casa) sia un segnale che la politica colga,  non ha ancora metabolizzato che, restando a casa, si fa una grande cortesia al famoso “apparato”. Che la Calabria abbia bisogno di un radicale rinnovamento è più che scontato. In minima parte qualcosa sta cambiando in questa direzione, ma c’è ancor tanto da lavorare. Abbiamo personalità che sin dagli anni Settanta svolgono ruoli di primo piano nella nostra regione, dai risultati che abbiamo sotto gli occhi di tutti non mi sembra che la Calabria sia cresciuta. Né, costoro, si sono adoperati per aprire ai giovani e creare una nuova classe dirigente. Nulla di tutto questo. Tuttavia qualche segnale confortante in chiave di “pensionamenti” questa elezione lo ha riscontrato. Vi è da chiedersi però: l’alternativa? Il giovanilismo pentastellato ad esempio bocciato dagli elettori? Anche sul rinnovamento, sui sistemi di filtro in assenza di scuole di partito, occorrerebbe avviare una seria discussione.

Infine la nuova città di Corigliano Rossano. Per un soffio questa nuova realtà rischia di non essere rappresentata da nessuno. Ce l’ha fatta in piena zona Cesarini l’On. Giuseppe Graziano, il padre della legge sulla fusione. La città unica – a mio parere – resta uno strumento, tanto importante quanto imponente, ma se non cambia la testa della classe dirigente si farà fatica nella sua attuazione circa gli obiettivi prefissati. Una città di 80mila abitanti esprime un solo consigliere regionale, grazie all’incapacità di saper fare sintesi e trovare accordi, se il caso anche trasversali. Cosenza in questo ha tanto da insegnare.

Matteo Lauria –  Direttore I&C

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