Disposta la restituzione dei beni confiscati all’imprenditore di Altomonte Vincenzo Albanese

Perimetrazione temporale della pericolosità sociale non sufficientemente supportata da elementi probatori e redditi di origine lecita. La Corte di Appello di Catanzaro – Sezione Misure di Prevenzione accoglie il ricorso della difesa e dispone la restituzione di tutti i beni confiscati all’imprenditore di Altomonte Vincenzo Albanese, coinvolto nell’operazione “Oro nero” della Dda di Catanzaro.

Il provvedimento di confisca era stato emesso dal Tribunale di Cosenza – Sezione Misure di Prevenzione ed eseguito dalla Dia di Catanzaro nel febbraio 2021, dopo il sequestro operato nel 2020, interessando il capitale sociale e l’intero compendio aziendale di 3 società attive nei settori del commercio al dettaglio di carburante per autotrazione e della ristorazione, il 50% delle quote societarie di un bar, 18 immobili tra i quali numerosi terreni, beni mobili registrati, 11 polizze assicurative e16 rapporti finanziari, per un valore complessivo stimato in circa 4 milioni di euro. Per gli inquirenti, oltre alla pericolosità sociale del soggetto, vi sarebbe stata una considerevole sproporzione tra i redditi dichiarati ed il patrimonio a lui riconducibile, ritenuto frutto o reimpiego dei proventi delle attività illecite.

Avverso tale provvedimento l’avvocato Giovanni Antonio Scatozza, difensore di Albanese, aveva proposto ricorso in appello, ora accolto dai Giudici della Corte catanzarese a scioglimento della riserva dopo l’udienza del 22 aprile scorso.  L’esame degli atti, secondo i giudici di secondo grado, «non suffraga il giudizio formulato dal Tribunale in relazione al lungo periodo di venti anni che è stato preso in considerazione per quantificare (in circa 500mila euro) la sperequazione posta a base della misura ablativa». In pratica, rileva la Corte, «la dedizione dell’uomo ad attività delittuose produttive di redditi illeciti non si è mai manifestata in maniera continua e ininterrotta», facendo registrare dei “vuoti” che trovano, tra l’altro, supporto anche nel rigetto da parte del Giudice della prevenzione, nel 2013, della proposta di applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale «per difetto di concreta e attuale pericolosità sociale».

Per quel che riguarda lo stato patrimoniale, la Corte di Appello ha accolto la tesi difensiva, supportata da produzione documentale, circa l’origine lecita di determinati cespiti, alcuni dei quali di natura “ereditaria” e che, pertanto, «devono essere espunti dal novero delle entrate illecite». Da qui l’accoglimento del ricorso e il decreto con cui si dispone la restituzione dei beni oggetto di confisca.

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