Corigliano Rossano, la spoliazione del Patire. Racconto di Martino A. Rizzo

L’Abbazia del Patire fu fondata intorno al 1095 e nei secoli successivi divenne uno dei più rinomati, ricchi e potenti monasteri italiani, con possedimenti sparsi in tutto il Mezzogiorno. Nell’Abbazia era presente un fiorente e famoso scriptorium dove monaci amanuensi trascrivevano gli antichi codici conservati nella fornitissima biblioteca. Dal XV secolo il monastero del Patire conobbe però una lunga e inesorabile decadenza, come tutti i monasteri italo-greci, finché nel 1809 fu soppresso dai francesi e venduto al barone Giuseppe Compagna di Corigliano.
Sullo stato di abbandono del monastero ci sono tante testimonianze. Luca de Rosis, nella sua “Storia di Rossano” del 1838, racconta che è “spoglio di tutto ciò che potrebbe servire a rammentare la sua antica grandezza. È l’umile ricovero de’ pastori e de’ coltivatori delle terre cadute nella famiglia Compagna”. Il 29 aprile 1889 vi si arrampicò, salendo dal Cino, l’abate francese Pierre Batiffol e constatò che l’Abbazia “esiste ancora: ma in quale stato!”, e che era stata utilizzata per lungo tempo come granaio/fienile (grange in francese), mentre in alcune celle “quattro o cinque famiglie di fittavoli” avevano trovato rifugio.
Il 24 maggio 1919 e poi dal 23 al 28 maggio 1921 vi giunse il soprintendente Paolo Orsi per raccogliere “elementi per la illustrazione del monumento, ridotto ad una larva della sua antica grandezza”. Eppure, anche se in fase di decadenza rispetto all’antico splendore, restauri vi erano stati fatti e padre Mariano Rende cita quello del 1672, quello del 1705 e quello del 1752. È opportuno porre attenzione alle date: 1752 ultimi lavori di restauro di cui si ha notizia e 1838 la “Storia di Rossano” del de Rosis che testimonia il degrado per il quale il terremoto del 1836 rappresentò solo il colpo finale di un processo in fase ormai terminale.

Allora sorge spontanea una domanda: le opere d’arte, le icone, i dipinti, le statue, i calici, le incensiere, i pastorali, i tabernacoli, il tovagliato, le croci, le sculture, le reliquie, i libri, i tavoli, gli armadi, insomma gli arredi e tutto quanto nei secoli aveva adornato e arricchito la grandiosa Abbazia, come ogni altro monastero basiliano e ancora di più considerando la potenza del Patire, che fine hanno fatto? Di sicuro durante la decadenza anche gli stessi monaci vendettero beni, ma questi beni dovevano essere veramente tanti. Non c’è più traccia del sepolcro di Bartolomeo, fondatore dell’Abbazia, né ci sono indizi sui sepolcri degli egumeni che nei primi secoli di vita del complesso monastico l’avevano governato. Si sa che molti arredi marmorei furono collocati dai Compagna nella chiesa della Schiavonea, come il settecentesco altare a tarsie marmoree e che un altro altare venne sistemato nella Chiesa dell’Addolorata a Rossano. Qualcos’altro di questo patrimonio è rimasto qua e là. Una Madonna Odigitria, di fattura bizantina su tavola, del secolo XV, fu trasferita nella chiesa di San Pietro a Corigliano insieme a una poltrona abaziale, una tela di San Basilio, un messale e poche altre cose.

Sempre a Corigliano, nella stanza da letto del barone, nel castello, ai lati del caminetto, ci sono due paliotti in marmo policromo e madreperla che provengono sempre dall’Abbazia.

Altre opere si ritrovano nel Museo Diocesano di Rossano: una tavoletta, Ecce Homo, che raffigura Cristo incoronato di spine e avvolto dal manto rosso e un anello bronzeo con castone in pasta vitrea, detto “Anello di San Nilo”, che forse appartenne a un abate del Patire e che probabilmente veniva utilizzato come sigillo.

Può darsi che altro ancora sia sparso tra qualche chiesa della Diocesi di Rossano-Cariati, presso il Museo Diocesano e il Castello di Corigliano, a Messina, ma è facilmente intuibile che si sta parlando di pochi oggetti rispetto a quelli potenziali di un’Abbazia che fu ricchissima e potentissima.
Per quanto attiene poi ai documenti e ai testi, gli antichi codici della biblioteca, una sessantina sono custoditi nella Biblioteca Vaticana, una decina a Grottaferrata, altri presso la Biblioteca Barberini a Roma, ma la maggior parte del materiale librario e documentale è andato disperso.
Di questa “volatilizzazione” dei beni del Patire resta emblematica la storia del Fonte Battesimale. Tutti ne avevano notizia, tutti lo cercavano, ma nessuno lo trovava. Fino a quando si scoprì che era finito nella collezione privata di opere d’arte del famoso banchiere statunitense John Pierpont Morgan e che questi, nel 1917, ne aveva fatto dono al Metropolitan Museum of Art (MET) di New York.

Di Morgan, appassionato di antichità, che frequentava l’Italia in cerca di buoni affari, parla molto l’antiquario romano Augusto Jandolo, il mercante che cedette al soprintendente Paolo Orsi la bratteata aurea che, per strade contorte, da Rossano era arrivata nella sua bottega di via Margutta e che oggi è collocata nel museo di Siracusa. Nelle sue “Memorie di un antiquario” descrive il miliardario americano come “uomo di gusto che sapeva distinguere oggetto da oggetto”, che fermava “gli occhi sulle cose più belle”, aggiungendo che era sempre in giro in cerca di pezzi antichi pregiati, scortato dal napoletano “Ercole Canessa antiquario di valore con negozi a Napoli, Parigi e New York”, che tra i clienti annoverava anche il barone Edmond de Rothschild.
Nell‘800 e nei primi del ‘900 si trafficava molto con le antichità italiane, prede sia dei ricconi per le loro collezioni private che dei musei stranieri e a Napoli i fratelli Girolamo e Ercole Canessa erano i protagonisti assoluti del mercato che, nell’antica capitale del Regno borbonico, era ben strutturato con tante botteghe volte a soddisfare gli appetiti dei ricchi frequentatori stranieri. Raffaele Gargiulo, Giuseppe De Crescenzo, Onofrio Pacileo e poi Raffaele e Vincenzo Barone, padre e figlio, sono alcuni dei molti protagonisti del traffico napoletano di antichità che fiorì fin dagli anni ’40 e ’50 dell’Ottocento. E sir John Evans, archeologo, numismatico e antiquario britannico, in una lettera del 21 febbraio 1889, scritta dall’Albergo d’Italia di Amalfi dà testimonianza che sul mercato napoletano confluivano oggetti di particolare rilevanza dalla Calabria e dalle aree interne della Campania.
Insomma, questo era il mondo di trafficanti, antiquari, estimatori, miliardari, musei internazionali, che girava intorno alle nostre antichità ed è probabile che anche i beni del Patire rappresentarono all’epoca per questa schiera di predatori una ghiotta opportunità.

Martino A. Rizzo

 

I racconti di Martino A. Rizzo. Ogni mercoledì su I&C

Martino Antonio Rizzo, rossanese, vive da una vita a

Firenze. Per passione si occupa di ricerca storica

sul Risorgimento in Calabria. Nel 2012 ha pubblicato

il romanzo Le tentazioni della

politica e nel 2016 il saggio Il Brigante Palma e i misteri

del sequestro de Rosis. Nel 2017 ha fondato il sito

anticabibliotecacoriglianorossano.it. Nel 2019 ha curato la pubblicazione

dei volumetti Passo dopo passo nella Cattedrale di Rossano,

Passo dopo passo nella Chiesa di San Nilo a Rossano,

Le miniature del Codice Purpureo di Rossano.

Da fotografo dilettante cerca di cogliere

con gli scatti le mille sfaccettature del paese natio

e le sue foto sono state pubblicate nel volume di poesie

su Rossano Se chiudo gli occhi.

 

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