Corigliano, 18enne minacciata di morte dal papà

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CORIGLIANO Nella città che diede spunto alla legge sul femminicidio dopo la morte della piccola Fabiana Luzzi, gli episodi di violenza non accennano a diminuire. Alcuni, purtoppo, presentano situazioni inquietanti. Come nel caso di una 18enne che sin dall’adolescenza paga la scotto di un rapporto genitoriale burrascoso. Aggressioni, offese, ingiurie, minacce di morte, tentativi ripetuti di colpire. Presunte vittime: mamma e figlia, verso le quali vengono poste in essere azioni persecutorie da parte del marito della donna che mal sopporta l’idea del distacco. Presentate ben cinque querele, la figlia ne ha depositata una nelle ultime ore. Le due vivono nel terrore, chiedono aiuto alle istituzioni. Che, al momento, però, tarda ad arrivare. La ragazza si è rivolta al centro antiviolenza ed è in attesa di una risposta. Scarsi segnali arrivano anche dallo Stato, nonostante le denucnce presentate nel tempo. E’ attuale la pronunzia del tribunale di Messina che ha condannato la Presidenza del consiglio dei ministri a dovere risarcire 300mila euro a tre figli di una donna assassinata dieci anni fa dal marito che sta scontando in carcere la condanna a vent’anni. Il Tribunale ha applicato la norma sulla responsabilità civile nella sentenza sui due magistrati citati in giudizio perchè lasciarono nella possibilità d’agire il marito violento, denunciato 12 volte dalla moglie. I due pm insomma non avrebbero fatto quanto dovuto a tutela della vittima.
La 18enne dimostra coraggio seppure convive con e nella paura. Usa i social come momento di denuncia ma anche di autotutela. In particolare “facebook” dove ha scritto le sue verità. Messaggio diffuso e ripetuto su “whatsapp”.
«Vi chiedo aiuto, a voi perché la giustizia non mi ascolta quando grido contro l’uomo che sarebbe ‘mio padre’. Ditemi perché se subisco violenza fisica o verbale e mi viene presa a pugni la macchina mi viene consigliato di andare via da questo paese per salvarmi. Io merito di starci, non ho mai fatto del male a nessuno, mentre lui che importuna me e mia madre può restare libero. Ditemi perché può andarsene in giro minacciandoci di morte e nessuno psichiatra mi ha dato l’autorizzazione per poterlo curare forzatamente. Ditemi perché ho dovuto portare le registrazioni delle violenze e mi è stato risposto che non servono. Ditemi perché per lui il mio nome è ‘Z….’ se non ho mai provocato un ragazzo. Ditemi perché io segregata in un’auto che veniva presa a pugni sul vetro ho dovuto sentirmi dire dalla polizia ‘Non possiamo fare nulla.’ Ditemi perché io e mia madre dobbiamo uscire controllando ogni targa delle auto perché potremmo essere investite appositamente. Ditemi perché mi hanno detto ‘Se lo arrestiamo sarà per due giorni e poi quando uscirà arrabbiato ti ammazza.’
Io non ho paura. Non ho paura di morire, di agire o di lottare. Ma sto gridando e non mi ascoltano. E allora chiedo a voi di aiutarmi in una manifestazione lieve, senza danni, senza vandalismo che porti solo lo scopo di un senso di colpa nei confronti delle autorità e chissà, un risveglio verso chi comprende che voglio lottare per davvero.Potreste salvarci la vita e a vita ve ne saremo grate».
Un grido d’allarme che non può restare inascoltato.
La città e le istituzioni tutte hanno il dovere di elevare barriere a tutele delle persone ad alto rischio.
Non può essere ammessa né l’indifferenza tanto meno la negligenza. Anche di fronte al sospetto occorre predisporre tutte le difese necessarie.
Ne va di mezzo la vita delle persone.

(fonte: La Provincia di Cosenza)

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