Caso Fabiana, scioglie ogni riserva l’avvocato Antonio Pucci

di MATTEO LAURIA

IMG_0997 (1)Il percorso giudiziario del dramma di Chiubbica ha concluso il suo iter: Davide Morrone, all’epoca dei fatti minore, dovrà scontare 18 anni di carcere. La sentenza definitiva è stata emessa dalla Corte di Cassazione i cui giudici confermano sia lo stato di seminfermità sia il venir meno della premeditazione.
La piccola Fabiana Luzzi venne barbaramente uccisa, finita con una tanica di benzina.
Un omicidio che resterà nella storia della città di Corigliano. Per l’avvocato Antonio Pucci (codifensore unitamente all’avvocato Giovanni Zagarese) dell’autore dell’atroce delitto, talvolta si preferisce rimanere in superficie e non andare in fondo alle questioni.

Davide è stato descritto come un mostro. La conferma della seminfermità costituisce un’attenuante?
L’infermità mentale esiste da secoli in tutti gli ordinamenti giuridici. Non è un regalo concesso all’imputato. È una malattia. In questo processo, due consulenze (quelle dell’accusa e della difesa) e la perizia del giudice hanno riconosciuto un grave e complesso disturbo della personalità che altera la corretta percezione della realtà.
Ho sentito dire che negli Usa la seminfermità non esiste: è una mezza verità perché anche in America al seminfermo viene riconosciuta un’attenuante.

È venuta meno anche la premeditazione.
È la stessa formulazione dell’accusa che, di fatto, escludeva che l’omicidio fosse premeditato. Davide si è recato nuovamente sul posto per far sparire il corpo della sfortunata ragazza.
È lo stesso Procuratore Generale che sul punto ha chiesto la conferma della Corte di Appello di Catanzaro.

Quali le cause all’origine della morte di Fabiana?
L’origine del delitto è da ricercare in tanti fattori: in primis, il rapporto d’amore vissuto in modo patologicamente sbagliato tra i due ragazzi, i quali non hanno potuto contare sui necessari sostegni. In senso letterale, può essere un caso di femminicidio, ma sotto il profilo criminogenetico no. Oltretutto, la stessa pubblica accusa, nella requisitoria dell’11/3/2014, ha sostenuto che Fabiana non avrebbe mai accettato di lasciare Davide.
Infatti, è un dato sbagliato quello di ritenere che la sfortunata ragazza sia stata portata sul posto allo scopo di convincerla a riprendere la relazione con Davide. Era dal 7 maggio che i ragazzi per la terza volta avevano ripreso la loro storia sentimentale. Ci sono stati numerosi campanelli d’allarme tra i quali la fuga da casa avvenuta un anno prima e il riferito rapporto connotato da gelosia reciproca ossessiva e da violenza.

Lei sin dalla pronunzia di primo grado ha parlato di “sentenza sbagliata”. Da cosa nacque questa convinzione?
Dal fatto che, sotto il profilo della corretta applicazione della legge penale, quella sentenza ha ricercato una pena esemplare riconoscendo erroneamente la premeditazione e omettendo il riconoscimento della seminfermità. Nel nostro lavoro difensivo, abbiamo lavorato molto proprio sotto questi due profili che poi sono stati riconosciuti fondati prima dalla Corte di Appello e poi dalla Corte di Cassazione.

Considerata la brutalità della delitto, si ipotizzava il massimo della pena. Occorrerebbe rivedere alcuni strumenti dell’ordinamento giudiziario (rito abbreviato)?
Assolutamente no. Il rito abbreviato è un particolare strumento conveniente per lo Stato.  L’imputato rinuncia a parte delle garanzie difensive in cambio di una riduzione della pena in caso di condanna. Ma accade anche di essere assolti con il rito abbreviato. Si tratta di scelte processuali, nulla di più.

Ritiene giusto che un minore, in quanto tale, non debba scontare il carcere a vita?
Il carcere a vita è una pena di morte bianca e dovrebbe essere eliminata in uno Stato civile. A maggior ragione, questo vale per i minori che, per definizione, non hanno raggiunto il grado di maturità proprio di un adulto.
La maturità non è solo saper discernere il bene dal male. Ai nostri tempi, nei quali sono centuplicate le fonti di condizionamento anche distorto dello sviluppo dei nostri ragazzi, la valutazione di questo tema è molto attuale.

Vi è stato, secondo Lei, un condizionamento mediatico durante le fasi del processo?
È stato fortissimo e costante dal primo all’ultimo grado di giudizio ed è stato condotto in modo indecoroso senza fornire un’oggettiva ricostruzione di tutti i termini della vicenda. Quando qualcuno, ovviamente senza giustificare il dramma accaduto, ha provato a fornire qualche elemento di riflessione in più mediaticamente è stato linciato.

Tra requirenti e organo giudicante ha funzionato tutto in questa triste vicenda o ha notato discrasie?
Tutti i pubblici ministeri che si sono occupati di questa vicenda si sono battuti con grande impegno ma unicamente per la condanna più dura possibile. Preferisco ricordare il pensiero espresso dal Procuratore Generale a Roma: «È un crimine orrendo, ma non possiamo non sottometterci alla legge».

Cosa le ha detto Davide dopo la sentenza di Cassazione?
Dal primo giorno, Davide ha sempre accettato ogni decisione dei giudici. Lui sa che deve dedicare il resto della sua vita a cercare di ripagare il male provocato; in questo senso, non solo nel processo d’appello ha chiesto perdono alla comunità e ai familiari della vittima, ma sta dedicando ogni sua giornata a tentare di riprendere il cammino della vita con l’incancellabile rimorso per quanto accaduto. È una strada difficile che, però, vale la pena tentare di percorrere.

Con quali consapevolezze si chiude questo processo?
Posto che ogni delitto va punito senza buonismi, dinanzi a tragedie del genere preferiamo trincerarci dietro tranquillizzanti verità stereotipate. Ci accontentiamo della partecipazione alle fiaccolate o ad esprimere il disprezzo sui social network, ma rinunciamo alla voglia di conoscere perché un fatto è accaduto. È quasi come se avessimo il terrore di scoprire che il male possa riguardarci da vicino. Nessuno può e deve negare che si è trattato di un crimine orrendo che ha scosso le coscienze di tutti. Ma interrogarsi fino in fondo sulle cause che lo hanno prodotto probabilmente può servire a prevenire il ripetersi di tragedie simili.

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