Arte da riciclo, il lockdown vissuto dagli italiani secondo Valeria Rapani

Corigliano Rossano – L’arte non perde mai la sua carica intrinseca, neanche in quarantena. E sicuramente la privata libertà ha addirittura accentuato la necessità di esprimersi attraverso gli strumenti della pittura, della scultura e della architettura. In tanti hanno preso i pennelli e impresso le loro emozioni del momento sulle tele: c’è chi ha modellato argilla, chi ha ripreso vecchie opere interrotte; passare il tanto tempo libero a disposizione facendo parlare la propria interiorità è stato un percorso affrontato da molti artisti.

Lo ha fatto anche Valeria Rapani, in arte Rapi, che nel periodo di lockdown si è ritrovata nella sua casa di origine a dare libero sfogo alla sua creatività. Di nascita rossanese, Valeria vive nella provincia romana ormai da molti anni, dove si è realizzata come Restaurant Manager.

 

E negli ultimi tempi si è scoperta artista, spinta da una voglia irrefrenabile di mostrare quello che il suo mondo interiore ha sempre voluto dire. Da pura autodidatta, ha realizzato quadri, tele e performance artistiche che si sono fatte conoscere e apprezzare nella città di Roma e non solo. Ritrovatasi a Corigliano Rossano nel suo periodo di fermo, ha pensato bene di rifugiarsi in mansarda per tentare di raccontare a modo suo quello che stava succedendo. Il messaggio è chiaro: l’arte vince il Coronavirus. La realtà riprodotta non è spenta e depressa, ma viva e forte. Quello che è uscito fuori ha preso il nome di “Italia mia” perché, inconsciamente, man mano che prendeva forma, l’opera assomigliava allo stivale. Realizzata completamente con materiali di riciclo, si estende su una tela di compensato lunga 2.40 m per 1.80 m. Sopra di essa c’è di tutto: accendini, anelli di plastica, omini colorati, costruzioni Lego, pezzi di puzzle, giochi di vario tipo, gadget vintage anni ’90. Ogni singolo elemento, ritrovato nei meandri della polverosa mansarda, è servito a raccontare le varie situazioni affrontate dagli italiani dagli inizi di marzo fino a oggi.

Tanti accendini colorati, che facevano parte della collezione ventennale di sua sorella, sparsi ovunque, simboleggiano gli abitanti che hanno vissuto il cambiamento delle loro abitudini di vita; emblematici sono i vecchi cellulari incollati sulla base che sono diventati i protagonisti della nostra quotidianità: hanno permesso la comunicazione con le persone care e il mondo che ci era stato impedito di incontrare dandoci quel conforto di cui avevamo bisogno; i pezzi dei Lego sono le cose da completare, l’Italia da ricostruire; i lingotti d’oro rappresentano l’economia che crolla; un cappello da bambola sospeso a un appendino è l’appendiabiti di un ristorante che in questo periodo non ha visto i suoi arredi arricchiti dai colori dei clienti; i cagnolini sono quelli che sono stati portati fuori per le passeggiate e hanno concesso pochi minuti d’aria ai loro padroni costretti in casa per il resto del tempo; le valigie sono i viaggiatori che dal Nord tentano di tornare al Sud alla chiusura di tutte le attività lavorative;

 

la moka d’acciaio racconta il tempo passato in casa a prendere il caffè, dovendo fare a meno dell’espresso del bar; la casseruola è tutto quello che è stato cucinato: anche chi non aveva mai trascorso troppo tempo in cucina si è ritrovato a usare i fornelli a lungo; i pezzi di puzzle blu sono i mari limpidi e pulitissimi dall’assenza dell’uomo con i pesci e le tartarughe giganti; il ponte di Genova in fase di costruzione è rappresentato da due sagome di plastiche dipinte dei colori della bandiera italiana che sono ancora divise da un pilone mancante; piccole bare di legno scuro sono gli sconfitti dal virus, le numerose vittime di questo nemico mondiale, che però sono sovrastate dal colore brillante di un giardino floreale che vogliono dare pace e speranza a quelli che sono rimasti; le ambulanze che vanno dagli ammalati, le televisioni perennemente accese sugli aggiornamenti in corso; una pistola che ci ricorda i suicidi di quelli che non ce l’hanno fatta ad affrontare le difficoltà; il virus che si propaga sono i filacci di lana sparpagliati in ogni regione; le zone rosse sono gli anelli delle tende; i congiunti che non si possono congiungere sono gli omini di plastica collocati a distanza che si parlano con i megafoni;

i posti di blocco sono le sbarre con le auto della polizia; un aereo militare ci ricorda gli aiuti dall’estero; il casco arancione è quello dei lavoratori che si sono fermati, collocato sul capo dell’Italia e accompagnato da una corona: l’Italia, fondata sul lavoro, è Regina e la sua dignità è stata ferita ma solo momentaneamente.

«Mi era stato chiesto di dividere l’opera» dice Valeria «poiché le sue misure importanti non permettono una facile logistica, ma non era mia intenzione far passare il messaggio di un’Italia divisa. Lo stivale è bellissimo così com’è e non deve essere frammentato per nessun motivo. Questo periodo di difficoltà ci ha uniti, ci ha fatto sentire tutti appartenenti allo stesso genere umano e ha dato vita a grandi gesti di solidarietà. Ho voluto osannare tutto questo attraverso il mio spirito personale che ha espresso gratitudine e speranza nel futuro. Superiamo tutto insieme e faremo più forti e migliori».
L’augurio è che presto questa grande originale rappresentazione possa essere esposta in una importante mostra e diventare l’icona di un periodo storico triste e difficile che ci ha lasciato e insegnato tanto. Gli artisti come Valeria Rapani ce lo ricordano, sta a noi non dimenticarlo.

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