Animali al Tempo del Coronavirus di Domenico Mazzullo

Animali al Tempo del Coronavirus –  La metodicità e costanza che caratterizza i ritmi della mia vita anche negli orari, non raggiunge certo quella di Immanuel Kant per cui, narra la leggenda, che i Suoi concittadini rimettessero gli orologi, vedendolo passare, puntualmente sempre alla stessa ora, nella Sua passeggiata mattutina, per le vie della città, ma senza volermi minimamente paragonare a Lui, la mia molto più modesta passeggiata, alle 7 verso l’edicola dei giornali e ritorno, mi permette, con grande piacere, di incontrare sempre le stesse persone, con le quali evidentemente coincidono gli orari e la stessa metodicità.
Si sono così creati, spontaneamente e delicatamente, intensi rapporti di amicizia basati sulla casualità di vite che si incontrano.
Uno tra questi è certo il più lungo e il più duraturo, quotidiano e costante.
Un signore anziano, della mia età, ho scoperto più tardi, che anni addietro incontrai per la prima volta, mentre portava a spasso il Suo cane anch’egli anziano e malato.
 Fare amicizia fu rapidissimo, : una carezza da parte mia al cane, un sorriso a Lui, due chiacchiere sul Suo cane e sui miei, due, e la confidenza e la simpatia  furono spontanee e immediate.
Mi raccontò che era vedovo e che questo cane, ormai vecchio, era la Sua unica compagnia, vivendo solo.
Ben presto sono diventato il Suo medico, interpellandomi in strada, con molta discrezione e cortesia, per ogni Suo problema, che cercavo sempre di risolvere, nei limiti delle mie capacità.
 Il più delle volte si trattava di disturbi  provocati dall’ansia e dalla solitudine, addolcita e lenita solo dal Suo cane.
Un giorno tragico, che non dimenticherò mai, Lo vidi da solo, senza il Suo cane e in un attimo capii.
Mi venne incontro piangendo e riuscì a dirmi, tra le lacrime, che il Suo cane era morto nella notte tra le Sue braccia.
Non riuscii a dire nulla in quel momento, per la commozione e forse fu meglio così. Lo abbracciai forte e vidi che qualche passante ci osservava, stupito dalla scena insolita di due uomini adulti che si abbracciavano piangendo commossi.
Da quel momento, ogni giorno a seguire, incontrandolo sempre da solo, ripercorrendo lo stesso percorso che faceva col cane, lo esortavo, con la autorevolezza che mi conferiva il mio essere medico, a prendere un altro cane, spiegandoGli, per quanto fossi capace, di fronte alle Sue resistenze, che non si trattava di sostituire quello di prima, insostituibile, ma piuttosto di dare ad un altro cane la possibilità e la gioia, di avere il Suo affetto e di contraccambiare con il proprio.
Una mattina lo vidi di nuovo con un cane, un giovane cane adottato al canile.
Ho provato una gioia ed una commozione indescrivibile, vedendolo di nuovo accompagnato e così in tutti i giorni a venire, felice con il Suo nuovo Amico.
Fino a che ieri mi ha salutato con aria preoccupata e triste e mi ha detto: “Dottore, io non ho paura del Coronavirus, perché non ho paura di morire, ma se io dovessi ammalarmi, essere ricoverato, anche morire, lui che fine farebbe? Finirebbe di nuovo al canile, dopo aver provato il calore di una famiglia?”.
Non serve un grande sforzo di fantasia, per immaginare la mia risposta.
 Lo rassicurai dicendoGli che nella malaugurata, lontanissima ipotesi, a Lui fosse accaduto qualcosa, del Suo cane mi sarei sicuramente occupato io.
 Ne ho due, più tre gatti e un nuovo venuto sarebbe stato certo il benvenuto.
Mi ha ringraziato e salutato sollevato e rassicurato, dandomi appuntamento all’indomani.
Da allora non ho più smesso di pensare a Lui ed alla realtà che mi ha prospettato, raccontandomi la Sua propria preoccupazione.
Tante persone sole, alleviano, vincono la propria solitudine, accogliendo la compagnia di un animale e donando a questi la propria.
 Si viene a creare così una simbiosi strettissima e fortissima tra due Persone che vivono l’una per l’altra.
Se una delle due, l’umana, si ammala e viene meno, chi pensa all’altra?

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