1943: la lettera dal fronte di Giuseppe alla moglie Carmela, racconto di Martino A. Rizzo

«Mia Carissima sposa, ti scrivo questo biglietto per dartti le mie buone notizie io sto moltto bene e cosi io meglio spero di te di stare sempre bene. Non ppenzare a me che io sto bene penza la tua salute che quella e lla mia speranza. tu penza di magiare e bene. poi ti dico di mi dire tutti sisci andate dove la tuve genitore incampagni perche non stai mai traquille sto sempre con uno pensero poi mi fai sapere si nostro cognate Giovanni a scritto o ancora no io spero che a questa lettera chi voi mi fati mifati sapere le sue buone notizie poi vi dico di mi mandare il ntirizzo di tuo fratelle Peppino. Bastto io credo che miai capito tutti. Io Non o Altro da dirtti i miei salute i nostri cari genitore cognate e cognati a mice e parenti salute i miei neputine e bacio le mie figliani poi salute la tua sorella Rosaria e figlie salute Assunda e figlie salute a tutte poi salute a te di vero cuore e ti mando tanti bacio il tuo sposo ………… Giuseppe – Scrivemi subito io attenti le tue notizie». Così Giuseppe scriveva dal fronte il 24 luglio 1943, in una lettera consegnata a Rossano dopo il 16 agosto, a sua moglie Carmela. Rispetto alla drammaticità del contesto che avvolge i protagonisti della missiva, gli svarioni dell’italiano usato per descrivere la tragicità dei tempi non fanno sorridere ma provocano una grande commozione e un profondo senso di rispetto verso quest’uomo quasi analfabeta che dal fronte si rivolge a sua moglie per assicurarsi che a casa tutto proceda per il meglio. Quanta tenerezza si legge in queste poche righe con le quali Giuseppe dice alla moglie di non pensare a lui che sta bene, mentre è al fronte, e si raccomanda invece affinché lei, che è a casa, non trascuri la sua persona! E poi i saluti per i quali elenca tutte le persone care, genitori, cognati, nipoti, fino alle figliocce.

Dalle copie dell’originale che accompagna questo articolo sono stati volutamente cancellati i cognomi delle persone coinvolte in quanto non è importante identificare i protagonisti della lettera quanto piuttosto cercare di capire l’universo che ruotava intorno a loro.

Giuseppe era in forza alla 6ª Compagnia del 208° Reggimento che aveva come motto “Chi osa vince”. Questo Reggimento era inquadrato nella 48ª Divisione fanteria “Taro” che durante la seconda guerra mondiale era una grande unità dell’Esercito Regio. Nel 1940 il Reggimento venne schierato in Albania e Montenegro, poi da agosto 1942 si spostò tra Alessandria e Novi Ligure per trasferirsi infine nella Francia meridionale fino all’8 settembre 1943.

Giuseppe era un rappresentante di quell’universo di semianalfabeti che all’epoca popolava la Calabria. Nel 1951, quindi otto anni dopo la lettera prima riportata, in Calabria gli analfabeti privi di titolo di studio e le persone in possesso della sola licenza elementare registravano valori percentuali molto elevati. La presenza più significativa era quella delle persone in possesso della sola licenza elementare, pari a circa il 36% della popolazione, mentre in Italia la percentuale era del 59% della popolazione. Gli analfabeti completi in Calabria erano invece il 32% della popolazione contro il 13% nel resto del Paese e i semianalfabeti si attestavano intorno al 27% mentre a livello nazionale la percentuale era del 18%. Osservando queste diverse proporzioni tra i tre gruppi emerge la differenza fra il livello dell’istruzione nazionale e quello regionale ed è evidente il gap che viveva la Calabria rispetto al resto dell’Italia.

Pasquale Martino, un giovane insegnante dirigente del Centro di Cultura Popolare di S. Nicola da Crissa, nel 1951 descrisse la realtà calabrese all’intellettuale tedesco Friedrich G. Friedmann che stava conducendo una ricerca sulla filosofia del contadino meridionale che poi servì per la pubblicazione “Osservazioni sul mondo contadino dell’Italia meridionale” del 1952. Martino raccontò che la popolazione calabrese era divisa in tre classi sociali: professionisti, artigiani contadini. «Tre mondi diversi e impenetrabili. Delle prime due classi il contadino veniva considerato come il solito cafone, mentre l’artigiano era in un rapporto, direi, di vassallaggio rispetto al professionista, e assumeva un’aria di superiorità di fronte al contadino». «Il professionista, essendo figlio di baroni o di grossi proprietari terrieri era considerato “il padrone”, alla stessa guisa di come il servo della gleba considerava il conte parecchi secoli fa. Il contadino, quindi, era l’ultimo nella scala sociale. Analfabeta era, e tale doveva rimanere».

Il giovane direttore del Centro UNLA nella sua missiva porta esempi della miseria, dell’oppressione, ma anche dello «squisito sentimento dell’ospitalità in questa gente», del fortissimo sentimento della famiglia, dei vincoli di amicizia, dell’importanza del comparatico, tutti sentimenti che si ritrovano nella lettera di Giuseppe a Carmela.

Aggiunge infine Martino: «Il proverbio è l’antica saggezza, frutto di una lunga esperienza. È con esso che i contadini spiegano la loro conoscenza intorno alla storia, alla religione, alla geografia, all’arte, alla vita del mondo, alla loro esistenza, alla coltivazione della terra». E Martino ne riporta molti, concludendo: «basta meditare un po’ sul loro significato per accorgersi che i nostri contadini non sono ignoranti, che hanno la loro cultura».

 

P.S.: Sull’analfabetismo in Calabria, sugli studi di Friedrich G. Friedmann e su Pasquale Martino si possono trovare articoli e approfondimenti, anche di Vito Teti, sul sito:

https://anticabibliotecacoriglianorossano.it/libri-giornali-articoli/analfabetismo/

 Martino A. Rizzo 

 

I racconti di Martino A. Rizzo. Ogni mercoledì su I&C

Martino Antonio Rizzo, rossanese, vive da una vita a

Firenze. Per passione si occupa di ricerca storica

sul Risorgimento in Calabria. Nel 2012 ha pubblicato

il romanzo Le tentazioni della

politica e nel 2016 il saggio Il Brigante Palma e i misteri

del sequestro de Rosis. Nel 2017 ha fondato il sito

www.anticabibliotecacoriglianorossano.it.  Nel 2019 ha curato la pubblicazione

dei volumetti Passo dopo passo nella Cattedrale di Rossano,

Passo dopo passo nella Chiesa di San Nilo a Rossano,

Le miniature del Codice Purpureo di Rossano.

Da fotografo dilettante cerca di cogliere

con gli scatti le mille sfaccettature del paese natio

e le sue foto sono state pubblicate anche nel volume di poesie

su Rossano Se chiudo gli occhi di Grazia Greco.

Una risposta

  1. Riesco solo ad osservare che in questa guerra insensata, come tutte le guerre, molti se ne andarono a morire pensando di servire servire la patria

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