Sibaritide: emittenti strozzate, moria negli ultimi 30 anni

di MARTINA FORCINITI

teleoperatoriLa conoscono un po’ tutti la storia del web annientatore che, al suo arrivo, avrebbe cotto a fuoco lento e quindi sepolto senza troppi complimenti radio e Tv. Quei canali un po’ démodé pronti a una rottamazione violenta. E, in effetti, se a livello nazionale la commistione fra questi due strumenti ha sconfessato i cinici permettendogli di adattarsi perfettamente alla rivoluzione dettata dal Web 2.0, da queste parti i mass media generalisti sono sopravvissuti dolorosamente. Così con l’avvento dell’era della crossmedialità (la messa in connessione dei mezzi di comunicazione l’uno con l’altro, ndr) e del suo approccio, abbracciati calorosamente dai grandi network radiotelevisivi, per le emittenti di casa nostra – da un certo momento in poi – sono tristemente cambiate le prospettive.
Già, perché lungi dall’essere ancora quegli oggetti tanto familiari piazzati sul comodino o, pensando alla radio, portati in spalla di qua e di là, ecco che Tv e radio si sono smaterializzate. Sempre più ibride, intrecciate a doppio nodo con Internet e i suoi flussi streaming. «Mentre qui l’informazione locale rimaneva orfana di tante emittenti che hanno fatto, chi più, chi meno, la storia “audio/video” di questo territorio». Salvatore Caruso, amministratore dell’agenzia pubblicitaria rossanese Studio AD Snc, proprietaria fino al 2004 dell’emittente radiofoninetwoca Radio Luna Rossano (poi Tir Radio Rossano), lo spiega senza usare mezze misure. «È stata data l’anima per un’emittente che dopo 25 anni di attività ha dovuto chiudere perché non ci si è mai piegati ai giochi di potere, non si è mai chiesta l’elemosina, bensì il giusto riconoscimento economico per un prodotto sapientemente realizzato». Oggi, delle tante stazioni locali che producevano e distribuivano contenuti audio e d’intrattenimento, in città rimane ben poco: Radio Gamma di Rino Zangaro, Radio Antenna Uno di Pino Tripodoro, Studio Uno Radio di Michele Stasi, Radio Luna Rossano di Studio AD Snc, Radio Rossano Centro di Tiberio Smurra e Radio Raghjayda. Solo quest’ultima è attualmente attiva. Nel Coriglianese, resistono Cometa Radio a Corigliano e Radio Arbereshe International, dapprima a San Demetrio Corone, attualmente a Cantinella di Corigliano. Uniche e sole emittenti televisive attive dell’Area urbana, Tele Rossano di Ignazio Sabatini (successivamente Tele A57 di Sandra Govino) e Tele A1 di Giorgio Aversente a Corigliano. «La nuova generazione oramai ha scelto di ascoltare i network (Radio DeeJay, RTL 102,5, RDS, Radio Kiss-Kiss, ecc. e sul fronte Tv: Canale 5, Italia 1, Sky, La7, ecc.), mentre le poche realtà locali sono come pugili suonati». Esosi i costi tra obblighi di assunzione, spese per il mantenimento delle concessioni, prelievo fiscale d’impresa e previdenziale con l’obbligo di garantire “palinsesti” di qualità e la messa in onda di Tg. Regole spesso violate. «Si possono paragonare i programmi che società con tanti soldoni di capitale producono e mettono in onda con le “misere” performance di una emittente locale che di capitali ne ha sempre avuti pochi? Soprattutto alla luce del fatto che la pubblicità che ogni emittente dovrebbe acquisire si basa sull’ascolto (venuto meno per via dei network), sulle trasmissioni (e farne una costava già tanto), sulla capacità di far attecchire l’ascoltatore (il segnale era fondamentale e ottenerlo “pulito” costava abbastanza) o il telespettatore al proprio programma in onda». Senza contare le pastoie di una legge che ad oggi è la norma di riferimento che va a regolamentare, non senza polemiche, l’assetto del sistema radiotelevisivo italiano.
«La legge Gasparri ha abrogato alcuni fondamentali articoli della legge Mammì
– ci dice Caruso –  in ordine al possesso limitato ad un unico soggetto di più attività editoriali. Fatta la legge, trovato l’inganno! Dopo la prima fase “libera”, vennero introdotti il pagamento al Ministero delle Telecomunicazioni della Concessione Governativa per l’utilizzo delle frequenze e il pagamento della SIAE (per ben due volte, poi: prima per l’acquisto del supporto audio, quindi per la sua diffusione). Le provvidenze riconosciute erano il rimborso del 50% del consumo dell’energia elettrica di ogni utenza intestata all’emittente e il 50% delle telefonate eseguite dalla stessa. Certo, un po’ pochine rispetto alle tante spese che ogni emittente sosteneva (626, insonorizzazione, bassa e alta frequenza di qualità, assistenza tecnica competente, ecc.), anche perché gli introiti della pubblicità, unica vera fonte di guadagno, in questo territorio erano scarsi o sottopagati o, meglio ancora, malpagati. Audiradio e Auditel erano gli organismi, a mio giudizio falsi, preposti a pubblicare gli indici di ascolto delle sole emittenti registrate (a pagamento) a tale indagine: nazionale/provinciale/regionale. Le migliori avrebbero ottenuto pubblicità nazionale ben pagata. E qui nasceva quella prima scrematura, poi andata avanti con la comparsa sul territorio nazionale dei network».
Insomma, tra la trasversalità dei podcast, l’agilità dei grandi gruppi sui social, le partnership influenti e le forme di comunicazione sempre più a misura di giovane (facilmente compatibili con smartphone e tablet), vien da sé che neanche il più incorreggibile degli ottimisti abbia il coraggio di prevedere un rinascimento dei media classici nel contesto locale.
«Oggi esistono solo le emittenti “nazionali”, che non sono le sigarette toste dei nostri vecchi operai! E con la chiusura di tante emittenti nate “locali” con passione e improvvisazione, ma successivamente con profonda professionalità, la voce è lasciata solo a pochi altri. Questo non è pluralismo!».

di PASQUALE LOIACONO
Il Basso Jonio ha giocato un ruolo determinante nell’evoluzione delle cosiddette “radio libere” se si pensa che una delle prime emittenti “pirate” calabresi, e probabilmente italiane ‒ fino alla sentenza della Corte Costituzionale del 1976, la quale dava atto che «le emittenti già attive in Italia sono circa 400» ‒ è nata proprio da queste parti, e precisamente a Mandatoriccio.
Parliamo della storica RMS (Radio Mandatoriccio Stereo) a cui è seguita la notissima Radio Centrale Cariati (RCC), diretta dal compianto giornalista Leonardo Rizzo, un’icona dell’informazione.
E se RMS si basava essenzialmente sull’intrattenimento musicale (ricordate le vecchie care dediche?), RCC era più generalista, ma in grado di bucare il velo, che significava dire le cose come stavano, senza girarci intorno; significava parlare di politica, destra o sinistra che fosse; significava organizzare manifestazioni, dibattiti, incontri tra giovani.
I conduttori delle radio libere trascorrevano giornate intere al microfono, “fili diretti” con i radioascoltatori. Tutto per rispondere ad un inappagabile bisogno di comunicare. Già, la parola d’ordine era proprio questa: comunicare, tutto quello che si pensava. Ogni parola pronunciata poteva essere ascoltata da tutti, o quasi, per poter condividere, o meno, le proprie idee. La radio ritorna ad essere, insomma, come nei tardi anni Quaranta, un mezzo di forte carica simbolica per chiunque. Sul fronte della carta stampata, registriamo, a Cariati, il periodico Il Ponte, diretto sempre da quel vulcano di Leonardo Rizzo. Il mensile, che resistette dal 1980 al 1985, era una vera e propria officina delle idee sulla quale molti giovani dell’epoca si esercitavano, e scontravano, in una tenzone ideologica di alto profilo. Una citazione merita anche Città Democratica, un foglio redatto da giovani professionisti che non ebbe, purtroppo, lunga vita.

di FRANCO MAURELLA
Era l’11 marzo del 1977 quando dal colle San Martino di Trebisacce avviava le sue trasmissioni radiofoniche sulle frequenze 99,500 e 103,500 MHz Radio Alto Jonio.
L’emittente, probabilmente la prima nella Sibaritide e nell’Alto Jonio cosentino, nasce per volontà di don Franco Brunetti, sacerdote di ampie vedute che aveva capito che, grazie alla comunicazione, poteva rafforzarsi anche la fede.
Le prime trasmissioni riguardavano programmi musicali con richieste di canzoni e relative dediche.
Ci volle poco per ampliare l’offerta di RAJ con trasmissioni culturali, sportive e politiche.
A distanza di poco tempo, nacque, sempre a Trebisacce, un’emittente radiofonica concorrente: Radio Trebisacce Centrale.
È un imprenditore tornato in Calabria da Torino, spinto dalla moglie di origine di Trebisacce, il proprietario e responsabile logistico dell’emittente: Paolo Andriolo.
Ma se Radio Trebisacce Centrale cessò di trasmettere a distanza di qualche anno, Radio Alto Jonio si sviluppò diventando, dal 19 gennaio 1980, Tele Radio Alto Jonio, utilizzando il canale UHF 37 lasciato libero da un’altra emittente.
Dai ripetitori di Piano Caruso di Corigliano Calabro, Rossano, Montalto Uffugo e Montegiordano, TeleRadio Alto Jonio irradiava i suoi programmi fino in Basilicata e Puglia.
Grandi consensi e apprezzamenti  venivano riscossi soprattutto per le dirette sportive e le tribune politiche, entrambe particolarmente accese tanto in studio quando attraverso gli interventi in diretta dei telespettatori.
Più o meno nello stesso periodo, nasce Tele Cassano, l’unica che ancora oggi trasmette ancora.
A TeleRadio Alto Jonio si affiancò un’altra emittente televisiva, nata anch’essa nell’Alto Jonio cosentino: Tele Capo Spulico, nata per volontà dell’ingegnere Mimmo Greco che ne fu il presidente e proprietario per diversi anni. Tele Capo Spulico entrò a far parte, negli anni ’90, del circuito “Cinque Stelle” che garantiva una produzione nazionale in grado di coprire una buona parte della programmazione.
Oggi, nessuna delle emittenti storiche del comprensorio risulta essere attiva.

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